Sto scrivendo queste mie righe a mano su un foglio di carta seduta ad un tavolo con vista mare in un tarda e bigia mattinata ligure. Davanti a questa pace mi viene un’improvvisa voglia di ascoltare e parlare del trio scozzese di Glasgow formatosi nel 1981 con il nome THE BLUE NILE.
Il nome della band deriva da un’opera in 2 libri di Alan Moreehead del 1962 che traccia una storia del fiume Nilo. Inoltre fa riferimento sottile al gioco di parole inglese tra colore e stato d’animo.
A capo della band Paul Buchanan, autore, chitarrista ed inconfondibile voce solista del trio, affiancato dai suoi ex compagni di università Robert Bell (basso) e J.P. Moore (tastiere).
Esordiscono con un vero e proprio album solo nel 1983 (A Walk Across The Rooftops) che faticherà ad uscire dal circuito UK ma che comunque li farà notare per il suono innovativo e particolarissimo del loro folk-pop.
All’attivo hanno tre album (1983-1996) e molte collaborazioni di cui le più famose con Peter Gabriel (Ovo) e Annie Lennox (Diva e Medusa).
Hats, 1989, è il loro secondo album ed a mio parere il più completo ed accattivante.
Si compone di 7 tracce, lunghe ballate scandite e caratterizzate dalla voce calda, romantica ed in certi episodi “commovente” di Buchanan, che, come Gabriel, egli modula tra toni bassi e falsetti a seconda dell’intensità del pathos e passione che vuole trasmettere e raggiungere.
Si tratta di ballate romantiche, a tratti sognanti, accompagnate da ritmiche spesso elettroniche a cui vengono affiancati archi (reali o riprodotti al synth) e riff di chitarre acustiche, in cui voce e piano si alternano con dolcezza e vitalità. E tanta forza.
La tecnologia si sposa con la maestà della voce di Paul e dell’uso virtuoso degli strumenti classici della tradizione folk e pop. Mi verrebbe di definire queste canzoni “liriche”, struggenti eppure così piene di colori e vitalità da riuscire ad imprimere nell’ascoltatore immagini e paesaggi da sogno, come quando ci si cala nella visione di un bellissimo film.
I Blue Nile, arrivano a colpire con la loro poeticità e professionalità le corde più profonde del nostro essere, senza trascendere o scadere in banali ripetizioni o sdolcinatezze. Non trovo band assimilabili. Per me non ne esistono.
Con brani della bellezza di "Stay" (1983) o "Over The Hillside", o "The Downtown Lights" (riproposta dalla Lennox), o ancora "Headlights On The Parade", hanno percorso un cammino che li ha resi irraggiungibili alle altre band pop.
Se la mia parte più emotiva fosse musica, da un lato sarebbe sicuramente i Blue Nile e la voce di Buchanan.
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