John “Bo Bo” Bollenberg è scomparso improvvisamente e prematuramente oggi, 12 Gennaio 2024. Non lo conoscevo di persona, ma alla metà degli anni '90, quando cercavo di approfondire più possibile la mia cultura in ambito progressive, sovente mi capitava di leggere le sue recensioni su siti web o fanzine straniere (iO pages, ad esempio). Di nazionalità olandese (almeno credo), scriveva di musica, immagino per diletto (come il sottoscritto) e sempre per diletto componeva e cantava. In tanti anni di totale dedizione al rock progressivo ha avuto la rara fortuna di scrivere un intero album riuscendo poi a registrarlo (con l'ausilio di musicisti decisamente importanti) e persino a pubblicarlo per la Musea, etichetta francese specializzata. Il lavoro, uscito a nome The Bollenberg Experience lo ascoltai a suo tempo e ne scrissi la recensione per la fanzine Paperlate, oggi purtroppo non più in attività. Mi è sembrato che condividere quella recensione in questa sede potesse essere di interesse per chi vorrà leggerla e di sicuro un omaggio alla sua instancabile passione. La recensione la riporto tale e quale la scrissi, senza cambiare o edulcorare nulla.
Da parecchio tempo a questa parte in ambito progressive ci sono stati tantissimi esempi sia di supergruppi, in cui vari artisti univano le loro energie compositive per realizzare un album, che di progetti musicali in cui un compositore scriveva i pezzi e poi si circondava di grossi nomi che si facessero carico di registrare i vari strumenti. Andando in rigoroso ordine casuale possiamo citare Liquid Tension Experiment, Explorers Club, Morte Macabre, Ayreon, Fyreworks, The New Groove Project, Martin Darvill & Friends, Nolan/Wakeman Jr., il progetto dedicato a Leonardo Da Vinci di Trent Gardner per finire con i celeberrimi Transatlantic. I risultati sono stati a volte molto positivi (su tutti LTE, Transatlantic e, anche se il loro disco conteneva quasi tutte cover, Morte Macabre), altre volte solo discreti ("The Greatest Show On Earth" non verrà certo ricordato negli annali del prog) ma di sicuro è sempre stata grande l'attesa e la curiosità con la quale gli appassionati di prog hanno atteso questi dischi.
Ultimo in ordine di tempo giunge questo progetto ideato da John "Bo Bo" Bollenberg, giornalista rock freelance e cantante nella band Quies. Bollenberg ha scritto i 9 pezzi che compongono questo disco assieme al talentuoso chitarrista svedese Bjorn Johansson, già collaboratore di Par Lindh su "Bilbo" e autore dell'ottimo "Discus Ursi", e si è poi circondato, per la loro realizzazione, di una squadra niente male che comprende, oltre allo stesso Johansson, Rick Wakeman, Jordan Rudess, Roine Stolt, Par Lindh (fin qui non credo ci sia bisogno di aggiungere altro), William Kopecky (della band omonima), Heather Findlay e Bryan Josh (Mostly Autumn), e financo un coro (l'Ensemble Macogall Choir).
Lo stile del disco è una sorta di prog sinfonico di buona fattura mischiato con forti dosi di folk e melodie medievaleggianti che sembrano provenire direttamente dai bardi che allietavano la corte di Re Artù o dagli ubriachi di una qualche bettola sperduta nella brughiera scozzese dell'anno mille. Quando queste ultime prendono il sopravvento (e la cosa avviene abbastanza spesso) anche la strumentazione si fa per così dire "d'epoca", basti ascoltare la traccia 3, "Minna" nel quale la dolce melodia viene accompagnata dapprima dalla chitarra classica e dal clavicembalo, poi da violino organo e trombe, per giungere poi ad un breve assolo di chitarra elettrica che ci fa ritornare improvvisamente nel 2002. Anche la successiva "Ursus Brugghia" sembra uscita da uno spartito di qualche secolo fa o forse da uno dei lavori di Lorena McKennit dato che lo stile ed il gusto per l'arrangiamento sembrano provenire dritti dritti da uno dei dischi della brava musicista. Altrove è invece il prog sinfonico a dominare, la strumentazione si fa moderna, e dai synth di Wakeman o Par Lindh fuoriescono assoli che vanno a sfidare le chitarre di Stolt e Johansson rimanendo comunque sempre in un contesto melodico.
Il principale punto a sfavore del disco è rappresentato, a mio avviso, dalla voce di Bollenberg che, aldilà del timbro che non mi piace molto (ma questa è una considerazione strettamente personale), tende a volte a spingersi pericolosamente verso i propri limiti con risultanti che a volte fanno venire un po' la pelle d'oca (purtroppo in senso negativo..., si ascolti ad esempio "Holy Blood"). Un'altra cosa che non mi è piaciuta troppo, (ma che si avverte solo talvolta) è stata la maniera in cui è stata registrata la batteria, a volte troppo secca e, per così dire, "invadente" (ascoltate la sua entrata in "Cafe Vlissinghe"...). In conclusione a parte il difetto della voce di Bollenberg, (difetto che viene mitigato grazie alla co-presenza di una buona voce femminile e del coro), il disco è sicuramente piuttosto interessante e piacerà sia agli appassionati della corrente sinfonica del progressive che a coloro che vorrebbero vivere in un antico maniero, magari sito nei pressi di Camelot, e passare le loro serate a discutere di progressive con gli amici. Seduti intorno ad un bel tavolo rotondo...
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