Un disco come questo me lo sparo sempre molto volentieri . Voglio dire: cambiare, sperimentare nuovi ascolti e anche mettere alla prova se stessi e le proprie preferenze musicali, costituisce sempre in fondo uno dei contenuti più interessanti per quello che riguarda ascoltare nuova musica come un modo di fare nuove esperienze, aprire se stessi a nuove prospettive. Tutto questo è molto bello e costituisce una importante fonte di arricchimento culturale e spirituale. Solo che poi arriva sempre quel momento in cui devi ritornare a casa e quando succede a volte succede che ci stai pure bene. Sto chiaramente parlando del rock and roll, del muso lungo di Robert Johnson, di Sister Rosetta Tharpe, Bo Diddley, il mito di Elvis Presley, fino agli Stones, Jimi Hendrix, bla bla bla.

Alla fine di questa roba non ti stanchi mai e questo succede semplicemente perché se è vero che il "blues" è la musica dell'anima, allo stesso modo abbiamo tutti quanti qualche cosa che ci brucia dentro: poi ci sta chi lo riconosce e qualcuno che fa finta di niente e chi alla fine stringe patti con il diavolo e diventa immortale come Mick Jagger e Keith Richards. Anche se alla fine chi può dire che Brian Jones, Jimi Hendrix, Elvis Presley, Jim Morrison siano veramente morti: io non ho visto il loro cadavere e comunque la vita dura più o meno quanto una corsa in auto dentro un film con James Dean. Poi quello che resta è lo schianto e questo resta anche se ti sei bruciato tutto dentro quella unica corsa guidando a occhi chiusi, ma con le mani ben salde sul volante come volere toccare la vita materiale fino alla fine.

I Bonnevilles sono un duo formato da Andrew McGibbon Jr. e Chris McMullen. Si autodefiniscono senza nessuna modestia come la cosa più tosta uscita dall'Irlanda del Nord dopo Van Morrison e i Them e gli Stiff Little Fingers. Vengono da Belfast e sono in circolazione dal 2010 quando pubblicarono un EP intitolato "Hardtale Lurgan Blues". L'ultimo disco si intitola "Dirty Photographs" e è uscito su Alive Natural Records il 16 marzo. Il disco è probabilmente il loro lavoro più irrireverente e politically uncorrect. Sicuramente contaminato da quel virus garage-punk tipico e che si manifesta in tutto il suo vigore con le varie "Be My Side", "Long Runs The Fox", "The Poachers Pocket", "Panakromatik" e nella enigmatica e esplosiva "Robo 6000", il disco riprende schemi Rolling Stones tanto in pezzi più tipicamente rock and roll come "Dirty Photographs" (McGibbon ci speiga la canzone come un omaggio e una celebrazione del culo della moglie) e il mood blues di "Don't Curse the Darkness", "Fever of the New Zealot" e la ballad "The Rebel Shrug".

Niente di nuovo sotto il sole probabilmente. Ma del resto ve l'ho detto che questo disco qui è come un ritorno a casa: che poi non significa mica starsene buoni e tranquilli. Ci sarà pure una ragione del resto se la maggior parte degli incidenti avvengano tra le mura domestiche. Finché continuate a ascoltare dischi come questo è inevitabile.

Carico i commenti...  con calma