Una volta tanto, avevo visto giusto. Un paio di anni orsono, recensendo "My Bloody Underground" notavo come apparisse il loro lavoro definitivo, la summa di quindici anni di lavoro sulla psichedelia. Ed infatti, ora, con questo nuovo "Who Killed Sgt. Pepper?", The Brian Jonestown Massacre ripartono verso nuovi lidi.
Il titolo è quanto mai indicativo. Tra gli autori dell'omicidio di uno degli album psichedelici per antonomasia, BJM propongono loro stessi, è evidente. Perdonate la presunzione di Anton Newcombe, conoscete la sua follia.
La fuga, dopo il delitto, ha portato il nostro eroe in Europa, in Islanda ed a Berlino. Ha recuperato il suo vecchio chitarrista, Matt Hollywood, ha affidato il basso al leggendario Will Carruthers degli Spacemen 3 (scusate la digressione, questa la cito dal web, ma quando gli inglesi definiscono "legend" qualcuno, mi fa impazzire), e per il cantato ha pescato qua e là.
Su quali spiagge è atterrato?
Sembra abbastanza incredibile a dirsi, ma su sabbie molto "baggy". C'è un andamento quasi dance che mi pare sia il filo conduttore di tutto il disco. Intendiamoci, nulla a che vedere con bpm molto alti o elettronica da rave. No, recuperare l'idea di "movimento" che nacque a "Madchester" ormai vent'anni fa, perfezionata poi da gente come Primal Scream e Chemical Brothers, e condirla di mantra e "visioni". Lo sviluppo "lazy" dell'opener "Tempo 116.7" o di "Let's Go Fucking Mental" non vi ricorda i migliori Happy Mondays? Le chitarrine acustiche di "This is The First..." (tra parentesi, che pezzo fantastico!) non sono le stesse di "Kinky Afro"? "The One" non starebbe benissimo su "XTRMNTR" di Bobby Gillespie e soci? Ed ascoltando "Feel It", il mio primo pensiero è andato al sontuoso remix che ne caverebbero i Fratelli Chimici.
Non vorrei che pensaste che questo sia un disco troppo derivativo. BJM, con la bulimia che li contraddistingue, frullano tutte le loro abilità e conoscenze. Ci sono i soliti raga, le solite latenze acide, le voci che provengono dall'iperspazio, e tutto quello che me li ha fatti amare in questi anni. C'è persino un chiaro omaggio ai Joy Division in "This is The One Thing...".
Nel consueto calderone caleidoscopico, vi sono anche un paio di cosette che avrebbero potuto risparmiarci, tipo i dieci minuti della conclusiva "Felt Tipped-Pen Pictures of UFO'S", una lunga chiacchierata sui Beatles su base soporifera, o l'ipotesi di dance balcanica di "Dekta! Dekta! Dekta!".
Ma li perdoniamo senza remora: avercene di gruppi e dischi così, in questi periodi magri.
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