Qualche anno fa trovai sul web il bootleg del concerto che tennero i Byrds al Piper, l'audio era pessimo ma credetti si trattasse di un documento storico secondo me straordinario. Più che una recensione faccio quindi una cronaca, complice una macchina del tempo (perdi i pezzi e non lo sai). Seguitemi!
Autunno 1968, Roma, via Tagliamento, Piper club: stasera sono di scena i Byrds, uno tra i gruppi americani più conosciuti. Le loro canzoni di maggior successo sono conosciute anche in Italia: "Turn! Turn! Turn!", la versione in chiave elettrica di un pezzo di Pete Sieger, e soprattutto "Mister Tambourine Man", la litania dylaniana che con gli arpeggi della Rickembacker 12 corde di Roger McGuinn è diventata il manifesto del nascente folk-rock e nella classifica italiana ha raggiunto addirittura il quinto posto, accanto a Gianni Morandi e a Rita Pavone. Se in America e in Inghilterra il beat è già fuori moda, in Italia imperversano l'Equipe 84 e i Camaleonti. Il mondo sembra in subbuglio: a marzo c'è stato un violentissimo scontro tra studenti e polizia, a Valle Giulia, proprio a Roma, ad aprile Martin Luther King è stato assassinato a Memphis, a maggio a Parigi è stata chiusa la Sorbona per le proteste studentesche, a giugno è stato ucciso Bob Kennedy a Los Angeles, Nixon è diventato da pochi giorni il nuovo presidente degli Stati Uniti che sono in guerra in Vietnam, in Brasile è partito il colpo di stato che porterà di lì a un mese alla dittatura militare. A fine anno l'Apollo 8 sarebbe volato intorno alla Luna.
In tutto questo panorama mondiale sconvolgente, i Byrds salgono sul palco del locale più alla moda del momento: il Piper di Roma.
Proprio da lì, quell'anno era uscita la star italiana del momento, una certa Patty Pravo, che con il 45 giri "La Bambola" era arrivata al primo posto in classifica e che tutti chiamavano "la ragazza del Piper". In realtà, quasi nessuno, tra quella gioventù che è pronta ad assistere al concerto, sa che i Byrds sono cresciuti e non sono più solamente il gruppo che reinterpretava i classici di Bob Dylan in chiave elettrica. Hanno pubblicato dal 1965 ben sei long playing che testimoniano un'evoluzione stilistica con pochi precedenti nel panorama americano. Dalla rivoluzione folk rock iniziale hanno varcato i confini della psichedelia con "Younger than yesterday", dell'inizio del 1967, uno dei dischi più innovativi della storia, le cui trovate, dalle scale raga a certi effetti sonori allucinogeni, avrebbero influenzato pesantemente anche i leggendari Beatles.
David Crosby, una delle menti più creative del gruppo, oltre che forse il maggiore artefice di quel disco, era stato poi estromesso dal gruppo in concomitanza con l'uscita del nuovo lavoro: "The Notorius byrd brothers". Nella copertina di quel disco il suo posto era stato preso da un cavallo e Crosby non l'aveva presa bene. Avrebbe regalato agli Airplane di "Crown of Creation" una delle canzoni che aveva scritto per Notorius byrd brothers e che gli ex compagni avevano scartato. Si trattava di "Triad", che Grace Slick avrebbe reso in un'interpretazione indimenticabile. In effetti Crosby aveva cominciato a non condividere più né il tempo né le idee con i Byrds e soprattutto con il loro leader indiscusso, Roger McGuinn. Mentre i Byrds in genere gravitavano attorno a Los Angeles, Crosby aveva cominciato a frequentare la Bay Area e i gruppi di San Francisco come i Dead o gli Airplane e ad assumere droghe psichedeliche in gran quantità. Ultimamente stava lavorando per produrre il debutto di una giovane ragazza canadese, il suo nome era Joni Mitchell.
Ma ritorniamo ai Byrds.
"The Notorious byrd brothers" era un disco creativo e interessante, c'era stato un imponente lavoro sulle sonorità e accanto a degli arrangiamenti scintillanti e a volte barocchi, con delle imponenti sezioni di fiati, faceva per la prima volta la sua comparsa il Moog, che McGuinn suonava su scale orientaleggianti. Siamo nel 1968 e a pochi mesi di distanza esce "Sweetheart of rodeo", un disco totalmente diverso dai precedenti. Più precisamente, un disco senza precedenti. Nessuno conosce ancora il termine "country rock", che avrebbe fatto fortuna negli anni settanta, ma quello sarebbe stato il primo prodotto di quella strana miscela. Le canzoni sono perlopiù vecchie ballate rurali arrangiate da un combo rock. Quello che ai giorni nostri sembra scontato all'epoca era semplicemente musica di un altro pianeta. Il banjo accanto alla chitarra elettrica. Due anni prima, Dylan per aver osato elettrificare le sue ballate acustiche era stato quasi linciato. In effetti vi sono all'interno anche due pezzi del solito Dylan, ma la vera novità sta nel nuovo nome che compare accanto agli altri Byrds e che addirittura firma due pezzi (i più belli del disco): Gram Parsons. E' lui l'artefice della rivoluzione stilistica di "Sweetheart". Sì, c'e anche lui stasera, ad accordare la sua chitarra, sul palco del Piper di Roma. Si capisce che il concerto sta per iniziare quando McGuinn presenta il primo pezzo, dicendo che è il singolo del loro ultimo disco e che è scritto da Dylan. Il suo titolo è "You ain't going nowhere". Nel ritornello le voci di McGuinn, di Parsons e di Hillman si uniscono e tentano di amalgamarsi. Probabilmente nessuno di quei giovani romani conosce ancora quel brano, ma in Italia si sa, dei Byrds si conoscono due o tre hit da classifica e poco più. E sicuramente nessuno sa che quella canzone avrebbe fatto poi parte dei leggendari Basement Tapes e che era nata a Big Pink, dove provava il gruppo di Dylan, The Band, e dove egli si era rifugiato in seguito al suo misterioso incidente di moto due anni prima, nel 1966. Poi McGuinn attacca "Old John Robertson", canzone di "Notorious byrd brother", e il ritmo riparte alla grande, il basso sale di ottave e il banjo ruota veloce intorno a tutto il resto.
Siamo nel Vecchio continente, lontani dalle sterminate terre americane, in un piccolo club alla moda nel centro di Roma, verso la fine del 1968.
McGuinn introduce il nuovo membro del gruppo che "canta e suona la chitarra". E' Gram Parsons che interpreta con grande sofferenza la parte del playboy pentito, che ha scoperto di amare la propria donna solo quando lei lo ha lasciato. Il pezzo è "You don't miss your water", e quando la voce di Gram arriva nelle settime fa venire I brividi. Il pubblico attento applaude, lui risponde "grazie" in un italiano maldestro. Poi attacca uno dei pezzi che ha scritto lui, la sua nostalgica bandiera: "Hickory wind". E' struggente, è un giovane filosofo della musica, un angelo fragile ma con le idee chiare a proposito del verbo che deve diffondere per i pochi anni che ancora gli restano da vivere.
Applausi.
Poi riprende il comando McGuinn appoggiandosi a un altro pezzo visionario di Dylan, "Chimes of freedom". Lo segue un gioiellino country dall'ultimo disco, il pezzo è "The christian life". McGuinn chiude con "Turn! Turn! Turn!", "My back pages" e "Mr Spaceman" un evento irripetibile per i ragazzi che stavano lì in via Tagliamento, quella sera del 1968. Di lì a poco Parsons sarebbe uscito dal gruppo, prima della tournèe in Sudafrica, comunicando a McGuinn che non avrebbe mai suonato in un posto con simili discriminazioni razziali (c'era ancora l'apartheid). Qualche mese dopo avrebbe formato con Hillman i Flying Burrito Brothers, per continuare a perfezionare la sua formula musicale innovativa. Emmylou Harris era ancora una ragazzina sconosciuta, ma neanche in seguito sarebbe riuscita ad addolcire più di tanto la malinconia di Gram. I Byrds avrebbero continuato a suonare per qualche anno, senza però produrre più dischi particolarmente interessanti. La storia del rock, quello che il rock era già stato ma soprattutto quello che sarebbe poi diventato, era appena passata da via Tagliamento, a due passi dal centro di Roma, tardo 1968.
In memoria di Gram Parsons (1946-1973)
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