Questo album è un’icona, un sussidiario sonoro di miti e splendori dei favolosi sixties, tanto avvolgente che a stento si evita la retorica del “favolosi quegli anni”. Se “Fifth dimension” battezza l’ingresso della psichedelia nel rock, e a “Sweetheart of the rodeo” è convenzionalmente ascritta la paternità del country-rock ( grazie a quel genio di Gram Parsons), “Younger Than Yesterday” è altresì l’opera più completa dei Byrds. Argutamente definito da Lester Bangs il “Revolver del pop-rock americano”, tale lavoro sintetizza al meglio le molteplici sfumature della band, oltre a costituire un archetipo basilare per intere generazioni rock successive ( dai R.E.M. ai Pavement passando per gli Smiths).

Come nei precedenti lavori, il fulcro del gruppo è sempre la Rickenbacker 12 corde di Roger McGuinn. Magnifici lazzi jingle-jangle avvolgono infatti tutte le tracce di “Younger Than Yesterday”, a cominciare dall’irresistibile melodia di “So you want to be a rock and roll star”: la canzone definitiva dei Byrds, ironica denuncia ante litteram di tutte le grandi “rock and roll swindles”, un classico numero folk che si sublima in un luccicante prisma californiano grazie anche all’assolo di tromba di Hugh Masekela. Altrettanto perfetta è la successiva "Have you seen her face”, perla di Chris Hillman e definitiva metabolizzazione del Mersey Sound nell’alchimia byrdsiana ( i Baronetti del resto avevano già reso il favore proprio su “Revolver”, dove Harrison in “She said she said” si librava in soavi empirei jingle-jangle).
Ma sono tante le sfaccettature del diamante Byrds: prodromi country rock (la dylaniana “My back pages”, la ficcante “Time between” e la languida “The girl with no name”), aspre impennate rock and roll ("Why"), sfavillanti cavalcate psichedeliche (la maestosa  “CTA-102”, che parte come semplice e pop per deragliare verso stranianti lidi space-rock),  e la madre della ballate flower power californiane targata David Crosby (“Renaissance fair”, con l’interplay vocale tipicamente westcoastiano di Crosby, Hillman e McGuinn).
Proprio il buon David firma altri due brani che definiscono gli estremi di “Younger Than Yesterday”. Anzitutto la struggente “Everybody’s been burned”, in cui stupefacenti venature jazz noir intarsiano il consueto telaio folk rock, con le parti di chitarra di McGuinn che disegnano favolose traiettorie indiane, perfettamente integrate dalle efficaci linee di basso di Hillman. Il magico cantato di Crosby trasporta nel limbo lisergico californiano, declamando “Everybody knows and me/I know that door that shuts just before/You get to the dream you see”. Non altrettanto memorabile è il mantra col sitar di “Mind gardens”, episodio ambizioso ma invero onanista e noioso: ciò inficia leggermente il valore intrinseco dell’album, da 4 stellette e mezzo. Un gradino sotto rispetto a coevi capolavori come “Forever changes” dei Love e “Again” dei Buffalo Springfield, ma indiscutibilmente eccellente, e il cui insuccesso commerciale dell’epoca è stato ampiamente riscattato dall’influenza esercitata sui posteri.

Decisamente consigliato è l’acquisto della ristampa in cd, condita da alternate takes e dal singolo crosbyano “Lady friend”: per un pelo meno memorabile della “Rock and roll woman” dell’amico Stills nella sezione “Classici flower power”.

 

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