Ci sono dischi che metti su e non sai perchè. Bene, questo non è uno di quelli. Puoi avere solamente un motivo per infilare nel lettore "Surfbeat" dei The Challengers: rifiatare.

E' inverno e fuori piove, tutto ciò che vuoi è affogare tra le lenzuola. Tutto quello che vuoi è non essere lì. Ed è qui che i nostri amici di Los Angeles entrano in gioco. Il grigio lascia spazio all'azzurro. Colore del cielo, colore del mare. E bianche sfumature, la schiuma delle onde, le nuvole.

Il riverbero delle chitarre è l'urlo che vorresti lanciare al cielo, il beat trascina. Rock & Roll nella sua forma primordiale. Strumenti e nient'altro. Viene lasciato spazio al fluire delle onde cerebrali. Ed i The Challengers lo fanno con l'eloquenza di chi non ha bisogno di lunghi discorsi. Arriva dritto; è ludico, unicamente ludico. Ed allora che si chiami "Ramrod" o "Mr.Moto", che sia "Surfin' Safari" (ricordate i Beach Boys?) o "Miserlou" poco conta. Tutto è molto più placido, ma in fin dei conti, era il 1963; le stratificazioni e le sperimentazioni sono ancora lontane. Ed allora io continuerò a metterlo su, non chiedendogli niente. Soltanto mezz'ora di pace.

Ditemi che è poco, ditemi che è frivolo. Lo so. Se metto su questo album, un motivo c'è.

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