Che Paese, l'Australia! Ce ne siamo innamorati scoprendo i primi film di Peter Weir ("Picnic at Hanging Rock", soprattutto), leggendo l'affascinante testo di Bruce Chatwin, "Le Vie dei Canti", e ascoltando questo magnifico lavoro dei Church nell'anno del Signore 1985. All'epoca il gruppo aveva già pubblicato altri quattro lavori non disprezzabili, ricordiamo almeno "Remote Luxury", ma la freschezza e la vitalità presenti in "HeyDay" lo fanno somigliare ad uno scoppiettante debutto.
Si parte con "Mirrh" e, d'incanto, ci si ritrova tra gli sterminati spazi delle misteriose pianure australiane. Un contributo essenziale alla credibile suggestione è dato dalla voce del leader, Steve Kilbey, calda e dall'inconfondibile timbro.
Le chitarre di Martin Wilson-Piper e di Pete Koppes sono le protagoniste in "Tristesse", brano a tinte tenui ed iridescenti, collocabile nella migliore tradizione pop.
"Already Yesterday", il pezzo più beatlesiano dell'album, intriso di nostalgia, avrebbe potuto essere una hit, se il mondo non fosse quello che è.
Con "Columbus", forse il brano di presa più immediata, i nostri mostrano un'insospettabile grinta e di saperci fare anche col rock.
Ma le sorprese non sono finite: in "Happy Hunting Ground", pezzo strumentale di grande suggestione, fanno la loro comparsa, sopra un tappeto di ipnotiche percussioni e di effetti sonori, i violini e i fiati, arrangiati con gusto dallo stesso Kilbey (autore anche di alcuni album solisti interessanti e misconosciuti) e da Peter Walsh.
Il meglio però deve ancora venire. Con la triade "Tantalized, "Disenchanted" e "Night of Flight" la "Chiesa" ci offre il meglio del suo repertorio. Tutti gli elementi musicali citati si amalgamano, dando vita ad un gustoso "pastiche", non senza far prevalere ora l'uno, ora l'altro.
Ciò che, comunque, caratterizza la musica dei Church è la sua forte identità, nonostante non abbiano inventato nulla di nuovo e i padri putativi, psichedelia e sixties in primo luogo, siano sempre ben riconoscibili. È forse proprio la loro consapevolezza di essere "nani" che salgono sulle spalle dei "giganti" a renderli preferibili ad altri gruppi simili di quel periodo, sicuramente più pretenziosi ma meno dotati.
L'album chiude in bellezza con "Youth Worshipper" e "Roman" e che vanno a completare un lavoro che vale la pena di (ri)scoprire. Si dice che sulle note di "Night of Flight" c'è chi, anche nel nostro emisfero boreale, sia riuscito a scorgere la Croce del Sud. Provare per credere.
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