<< Solitamente Joe si sedeva a una macchina da scrivere e io mi sedevo di fronte a lui. Una volta che aveva scritto qualche cosa mi passava il foglio e io tiravo fuori una melodia. Quando la prima frase era fatta, lui mi passava un altro scritto.>> (Mick Jones)
Quel che mi porta a spendere alcune parole per questo disco, è semplicemente un motivo di carattere affettivo unito ad un apprezzamento per quei lavori meno noti e comunque comprendenti brani di un certo valore che con i tempi che corrono, avrebbero forse visto la luce solo in qualche cofanetto celebrativo della carriera dorata che fu. La carriera dei The Clash, iniziata nella seconda metà dei '70, era stata già contraddistinta da quei primi tre capitoli di una discografia che ancora negli anni a venire avrebbe saputo dare tanto da un punto di vista sia qualitativo che quantitativo.
La mini raccolta in questione (ricordiamo che stiamo parlando di un 10" ripubblicato l'anno successivo come 12"), ci presenta b-sides e rare tracks, necessarie valvole di sfogo di una band a suo modo grande e che merita di essere conosciuta non solo per gli album di richiamo da cui è dipesa l'intera popolarità. L'invettiva di "Capital Radio One" e l'irruenza di "The Prisoner" si fanno strada seguendo l'impronta dell'esordio, in cui ritmica serrata e liriche nervose ne suggellavano la combinazione vincente. E' difficile restare impassibili al rimando prettamente underground di "City of the Dead" ed a "Pressure Drop" dal repertorio dei giamaicani Toots and the Maytals (che la incisero nel 1969), un reggae dalle sembianze rock in grado di dirla lunga sulle influenze musicali di gioventù di Strummer & Co.. Ispirazioni da incorreggibili teenagers che trapelano anche da una rispettosa pur se non indispensabile versione di "Time is Tight" dei Booker T and the M.G.'S, dimostrando una notevole maturità con l'ironia pungente di "Cheat" che ci riporta all'esordio inglese ma lasciata fuori dalla US version.
Un'incontenibile passione quella di Joe Strummer e Mick Jones per lo stato di liberazione che avevano trovato nei suoni caraibici e che li aveva fatti schierare politicamente a favore della comunità giamaicana stabilitasi a Londra. Nel contempo l'interesse per queste sonorità aveva portato i due musicisti ad un proliferare di brani da quel magico ritmo in levare, che qui troviamo degnamente rappresentati come l'ammaliante "Armagideon Time" presente anche in versione strumentale con il titolo di "Justice Tonight/Kick It Over" o "Bankrobber/Robber Dub" editate, solo qui come unico brano senza penalizzarne la fluida soluzione di continuità.
Il vinile in questione è la prima pubblicazione degli '80's, ponendosi come trait d'union tra quel manifesto di nome "London Calling" (dicembre 1979) e l'imperdibile "Sandinista" (dicembre 1980) , non avendo la presunzione di ritenersi imprescindibile ma risultando per lo più uno stimolante compendio di quei brani che negli anni sarebbe potuto rimanere tesoro di pochi aficionados. Brani meno crudi ma altrettando inquieti e spigolosi ed in grado di mantenere sempre viva la fiamma di una bruciante leggenda in divenire.
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