Per molti puristi la versione U.K. è migliore, ma a mio parere questa riedizione di "The Clash", l'album d'esordio della band omonima, per gli USA, rappresenta il vero capolavoro. Con questo non voglio sminuire la comunque seminale versione inglese, fra i primi dischi punk che hanno avuto una buona risonanza mediatica e anche di grande impegno sociale. Quattro canzoni di puro garage-punk del primo album, le rispettabilissime ma dimenticabili "Cheat", "Deny", "Protex blue" e "48 hours" vengono sostituite da altre quattro grandi canzoni, prima pubblicate solo come singoli, tra cui due capolavori, ma andiamo con ordine. L'album si apre con una di queste quattro canzoni, "Clash City Rockers", ancora estremamente punk come stile ma assolutamente più corposa ed energica di una qualsiasi delle quattro tracce "British". Dopo le strimpellate isteriche e le prime frecciatine a sfondo politico di "I'm so Bored with the U.S.A" e l'ottima "Remote Control", arriva un'altra scarica di pura energia; "Complete Control" è una canzone martellante, incessante, forte di una batteria con la quale non puoi non tenere il ritmo, backing vocals di tutto rispetto e uno Strummer in stato di grazia. "This is Joe public speaking!", e ho detto tutto. Dopo uno dei capolavori assoluti della band, "White Riot", che condensa in due minuti scarsi una rabbia unica, si passa a un altro capolavoro, che si distacca dai canovacci del genere e che è uno dei primi sintomi della voglia e capacità della band di approfondire stili e soprattutto farli coesistere in una sola canzone. "White man in Hammersmith Palais" è un po' punk, un po' reggae, un po' rockabilly; ha un giro di basso irresistibile, una chitarra sferzante e al contempo sei catapultato per quattro minuti in un groove unico. Senza dimenticare un'altra prestazione grandiosa di Strummer sia nella stesura del testo che nel canto. Si ritorna subito "in riga" con un altro rabbiosissimo inno di protesta ; "London's Burning", ma dalla noia, come recita il testo. Ed ecco spuntare un altro capolavoro che racchiude l'essenza stessa del punk; "I Fought the Law" non è altro che la cover punk di una canzone classica, un imbastardimento che secondo me eclissa l'originale; ho davvero percepito il ritorno all'essenziale di cui il punk si era fatto in qualche modo portavoce. Il disco procede fluido con almeno altre quattro canzoni di classico punk, impossibile non menzionare almeno "Career Opportunities" e "Hate and War", ennesime portavoce del malessere sociale che si respirava allora ma sempre attualizzabili. Stop, altro strappo alla regola: in "Police and Thieves", torna il connubio punk-reggae-rockabilly, questa volta più orientato sul primo genere e meno incalzante e potente di "White man...". Si chiude con la più debole dei quattro rimpiazzi, "Jail guitar doors" e con la grezza "Garageland". Si sa, i Clash rimarranno sul puro punk ancora per poco, ma con questo disco sono entrati di diritto nella storia del genere e nel cuore di un sacco di appassionati di musica come me.
"Nothing stands the pressure of the clash city rockers!"

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