"Ogni scarrafone è bello a mamma soja".

In fin dei conti questa è la citazione più adatta per per questo album di debutto dei "The Collettivo", nuova band indie-rock della scena patenopea (anche se loro ostinano a chiamarsi "disco-punk" quando non hanno una sega nè di disco e nè di punk, ndr.) e che "si apprestano a scalare le vette dell'indie-rock" come dicono loro (ma non erano new wave-disco-punk o che altro?! bo...). Qualche nota iniziale, i Collettivo sono composti da 5 ragazzi: Sollo, Mark e Tiell, Elfo Saiia, Calijunior (sembra il nome d'un gelato....), Dario Casillo rispettivamente a voce, batteria, chitarra, basso e tastiera. Il disco è prodotto dalla neonata etichetta discografica napoletana Materia Principale, distribuito da Family Affair, missato da Matteo Cantaluppi e masterizzato da Steve Fallone. Vediamo un pò che c'è dentro.

Quello che salta subito all'occhio appena si ha il disco tra le mani è la buona cura dell'artwork. Colori dominanti arancione e nero intrecciati in stile "carta da parat" che fa molto anni '50 (e molto indie-rock). Confezione in digi-pack naturalmente. Mettiamo il cd nel lettore e premiamo play.

L'album apre con "Dancer", roba già sentita.... questa a parere di molti sarebbe una canzone che fa infiammare il dancefloor.. .mi chiedo se questi signori che dicono così hanno mai sentito qualcosa dei Justice. Intro in sordina con Sollo che inizia a cantare "tonight i feel the king of dancefloor..." e poi via verso una collezione di scelte musicali che più scontate non si può, mettiamoci anche un testo da terza elementare poi.... ("you looked at me, I looked at you"...dio santo ma scrivetele in italiano le canzoni se non lo sapete fare in inglese... tanto all'estero non vi si filerà cmq mai nessuno...). Si va avanti con "Does anybody want me", idem come sopra, qui c'è il tastierista che cerca di impressionare con qualche LFO e quale filtro che si apre, ma non ci riesce. Sollo che canta con voce sempre filtrata e semi distorta (forse più per ragioni necessitarie che stilistiche....). Come la prima si parte un pò in sordina per poi "esplodere" in un ritornello scontato quanto inutile. Ma andiamo ancora avanti con "Selfish"... rumori ambientali iniziali e signore e signori..... IL BASSO!!! cavolo ma allora ce l'hanno davvero il bassista...pensavo lo avessero messo nel frigo della copertina fino a qui. Bello il suono della batteria in questo pezzo, molto pompato e forte, specie il rullante che da un pò di groove al pezzo. Per il resto le differenze tra questa canzone e le due precedenti bisognano cercarle col lanternino... ah no scusate... qui il tastierista usa il vocoder e un monofonico (ad orecchio sinusoidale) in controtempo nel chorus.... paura eh?

Passiamo alla numero 4: "My sweet radio". Io dico: basta a copiare Strokes e Franz Ferdinand... basta per piacere.. perchè già fanno quasi schifo gli originali, le brutte copie diventano qualcosa di grottesco. Altro girone altro regalo con "London town", idem con patate della canzone precedente. Ma Dio... già un gruppo di Napoli che canta una canzone che si chiama "London town" ti viene da pensare, ma a parte questo... certe scopiazzature di sound qui sono da denuncia. Va bè, tout va continuer con il cavallo di battaglia..."Lies". Le intenzioni questa volta c'erano, anche se copiate pure qui però non in maniera evidente come in precedenza; peccato che quando si arriva al ritornello tutti i buoni propositi si frantumano di fronte alle solite paraculate indie-rock per fighetti. Ah comunque se scrivo poco dello stile da canzone a canzone non lo faccio perchè sono deficente, ma semplicemente perchè sono tutte uguali. Stesso sound alla voce, chitarra sempre uguale (ad orecchio è una telecaster), batteria sempre equalizzata e compressata alla stessa maniera da tagliare i medi e tenere alti bassi e alti (specie con il rullante), tastiere che sono per lo meno inutili, ci scommetto la casa che una sicuramente è un nord lead clavia. E' un must per ogni tastierista indie (sfruttata all'1% naturalmente... che siamo matti a voler imparare ad usare un synth senza usare preset?!), basso.... basso?! Ah si... quello che si sente all'inizio di "selfish".... bo per il resto del disco l'avranno rimesso nel freezer in copertina.

E' la volta di "Calm down". Qui davvero comincia a non potersene più. La voce di Sollo inizia ad essere irritante, strutture sempre uguali...è quasi di regola che ci debba essere un break tra il verso e il chorus con un arpeggio di chitarra rigorosamente col tremolo (vedi "Dancer", la prima che mi viene in mente), solito ritornello facilotto con note della voce tenute lunghe per dare quell'easy listening paraculo, solito basso assente e batteria che si poteva programmare in 5 minuti con una drum machine e far sudare di meno il batterista, tastiere non pervenute. Con "Superman" però si sono superati! In effetti è difficile copiarsi da soli, va bè non sto qui a scrivere che tutta la canzone è uguale alle altre del disco ormai penso sia chiaro che i 5 ragazzi debbano un attimo avere più fantasia... ma... fate attenzione al ritornello: è uguale a quello di "Calm down". No comment. "Wasted time" ...un titolo un perchè. Qui scrivo davvero poco perchè è davvero la fiera dell'ovvietà, si cerca di dare un senso al pezzo sovrapponendo due parti cantate e dare un sound un pò diverso dalle altre ma aimè... è sempre tutto uguale. Si arriva alla fine con "We don't like the Muse", Franze Ferdinand misti a The Bravery con una spolveratina di The Strokes cercando di darsi un tono ribelle dicendo che a loro fanno schifo i Muse. In effetti i Muse fanno schifo, ma almeno non han copiato nessuno.

Forse sono stato un pò duro con questi ragazzi, però se l'ho fatto è per un motivo. Ho letto le recensioni che sono state scritte sui vari magazine e portali, e a sentir loro, questo disco è qualcosa di innovativo, fenomenale, irresistibile... insomma non c'è UNA recensione in cui non dico se ne parli male, ma almeno si evidenzi qualche lato negativo. "Something about Mary Quant" non fa schifo, sia chiaro, è venuto anche fin troppo bene vista la lacunosità delle idee...però è un disco che lascia il tempo che trova, aria fritta, roba sentita e risentita. Tutti i pezzi sembrano usciti da uno qualisasi della miriade di gruppetti inglesi che circolano oggi (in versione più smorta). Ma questo è un discorso che va allargato, provate a comprare una rivista musicale e leggere le recensioni delle varie uscite italiane (specie se indipendenti), e non ci sarà una recensione in cui un disco viene davvero stroncato. Questo mi fa pensare due cose: o che viviamo nel paese delle meraviglie, o che la stampa italiana verso i prodotti nostrani non dico che sia 'comprata' ma che segua molto, forse troppo, le tendenze del momento a totale discapito dell'obiettività musicale. Io spero vivamente che questa moda di revival '80s in chiave indie-rock finisca presto perchè ormai la scena musicale italiana e non ha raggiunto un livello di ipersaturazione da barzelletta con questa roba, non se ne può più... è musica per fighetti indiettini pseudo-intenditori di musica, quelli che fanno il ballo "braccino, passettino con cocktail in mano" (cit.). 

"Trash": questo è l'aggettivo che credo sia più appropriato per questo lavoro, quando questa moda finità tra qualche hanno venitemi a ricordare i Collettivo dove sono. Musica usa&getta.

In conclusione, i Collettivo  non sono niente altro che un gruppetto scialbo, inutile, moscio e (con il sogno di essere) commerciale, senza la minima vena artistica, senza un briciolo di innovazione/personalità e senza niente da dire veramente. Un prodotto fatto a tavolino per cercare di fare un po' di soldi, niente di più. Questa è la musica che alimenta il soffocamento della creatività, la morte della personalità, se devo essere sincero io della musica ho tutta un'altra concezione, che abbraccia Tim Buckley come i Brutal Truth, Bille Holiday o i DNA, gli Swans come gli Arab On Radar fino ai Public Enemy, ma di certo non comprende i fighetti dei Collettivo.

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