Gran brutta cosa essere un musicista belloccio: parti con la lodevole intenzione di mantenerti duro e puro, senza mai cedere neppure al minimo compromesso; dopo lo sbattimento iniziale, arriva la prima, minima visibilità; e poi teenager in ipertrofia ormonale cominciano a sbavarti dietro e diventa sempre più difficile mantenere i buoni propositi iniziali, resistendo a Mammona; fino a quando non ti trasformi in un laccato e patinato idolo di plastica per gente di plastica.

Triste che la storia vada spesso così, ancora più triste che questa sia la sorte toccata ad un gruppo promettente come i Creeps, della cui decadenza oggi si è per fortuna persa ogni traccia.

Chi se li ricorda più, i Creeps?

Per la cronaca, erano quattro ragazzotti svedesi che diedero un importante contributo ad incendiare la scena del garage revival anni Ottanta in Europa, rilasciando nel 1986 questo loro fenomenale album di esordio, sentito tributo a Maestri del genere quali Them, Animals, Shadows Of Knight e - in particolare - Sonics.

Proprio dei Sonics, i Nostri riprendono nell'occasione due classici minori, «Mantaining My Cool» e «I'm A Rolling Stone», fondendoli in un medley grondante di ritmo e blues, di incredibile potenza. Perché è un disco estremamente potente, «Enjoy The Creeps», per tutta la sua durata ed in tutti i suoi dodici episodi, persino nei due meno tirati e non propriamente garage punk - «Come Back, Baby» e «Darling».

A raggiungere questo risultato contribuiscono un urlatore infaticabile dall'ugola in carta vetrata, presumibile figlio illegittimo e non riconosciuto di Gerry Roslie, un Farfisa benedetto ed onnipresente che ti riporta dritto dritto negli anni Sessanta più oscuri e selvaggi ed una chitarra monotona, nel senso che dalla prima all'ultima nota è incanalata sul tono fuzz e da quello non si sposta, nemmeno se gli dai fuoco come Hendrix o la riduci in pezzi come Townsend.

E via così, per poco meno di trentacinque minuti di suoni grezzi e deraglianti, nella forma di canzoni secche, dirette e senza fronzoli, sempre coinvolgenti ed appassionanti: insomma, il garage nella sua essenza più vera.

Tanti i brani degni di nota, da «Ain't No Square» a «Just What I Need», da «The Creep» a «She's Gone», ma su tutti si staglia la straordinaria apertura di «Down At The Nightclub», un irresistibile riff di errebì danzante scolpito dal Farfisa, che di certo non avrebbe sfigurato nella discografia dei summenzionati Maestri: la Farfisa-song definitiva del garage anni Ottanta ed uno di quei brani che dovrebbero comparire in qualsiasi antologia del genere, che si reputi meritevole di rispetto.

Il successivo album «Now Dig This» annuncerà il declino, pur mantenendosi su standard dignitosi; dopo, fu il baratro ed il meritato oblio.

Ma l'importante è che ci sia stato «Enjoy The Creeps», quello che insieme ad «Outburst» dei connazionali Nomads, «Underworld Shakedown» dei greci Last Drive e soprattutto «Faces» degli italiani Sick Rose (spero che qualcuno li recensisca tutti, prima di me), rappresenta uno dei vertici del garage revival europeo, ma non solo.

PS: E poi qualcuno ancora si chiede perché il garage punk sia uno dei generi musicali più eccitanti nella storia del rock! Ma in quale altro ambito puoi trovare gruppi italiani, svedesi, greci, francesi (non propriamente garage punk, ma quanto erano grandi i Vietnam Veterans) e chi più ne ha più ne metta, in grado di competere al livello dei blasonati colleghi inglesi e statunitensi, talvolta superandoli?

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