Molti ignorano che il termine "gothic" fu utilizzato per la prima volta da un personaggio che con la musica gotica aveva ben poco a che fare, ossia Ian Astbury.

La sua adolescenza era stata segnata dal fascino e dall'ammirazione che egli provava verso gli Indiani di America, di cui ne studiò appassionatamente la storia e la cultura (del resto, il primo nominativo della band, ossia "Southern Death Cult", faceva riferimento proprio al nome di una tribù di nativi americani vissuti durante il 14° secolo, nativi americani che Ian definiva giustamente come i veri americani), e dalla figura sciamanica di Jim Morrison, di cui, a onor del vero, cercò di scimmiottarne le pose, sino a quando il sogno non divenne realtà, ossia quando gli si offrì la possibilità di prendere il posto di Jim nei Doors per qualche tempo, con risultati, tuttavia, non eccezionali.

Oltre ai Doors, il background di Ian era pesantemente influenzato dall'hard rock settantiano e, in particolar modo, dai Led Zeppelin. La chiave di volta per l'intrepido singer americano fu l'incontro con il chitarrista della formazione dark-punk inglese Theatre of Hate, Billy Duffy. Erano gli anni di maggior successo della corrente darkwave e i due cercarono di cavalcarne l'onda con la nascita dei su citati "Southern Death Cult", il cui album omonimo, tuttavia, ebbe scarso successo.

Liberatisi dalle catene prettamente gotiche degli esordi, "Dreamtime", album di debutto della formazione col nuovo nome "The Cult", racchiude tutte le influenze musicali e non del duo, prima richiamate. L'opera prima dei Cult, infatti, trabocca di riferimenti nei testi e nell'immagine alle tradizioni dei Pellerossa. I Cult, infatti, si presentavano sul palco in un aspetto scenico molto particolare, in una sorta di gothic glam cowboys davvero originale. Anche musicalmente, in alcuni episodi, in particolare nella ballata "Bad Medecine Waltz" e in "Sea and Sky", si ascoltano sonorità che richiamano alla mente luoghi desertici spazzati via dal vento sabbioso, in cui ci si immagina di assistere ad un rituale tribale dinanzi al sacro fuoco. Per il resto, "Dreamtime", è un'ottimo compendio di sonorità gotiche e post-punk, con una marcata influenza hard-rock zeppeliniana.

Canzoni come l'opener "Horse Nation", e le sue linee di chitarra sempre in tiro, quasi death rock, che si stagliano sulle percussioni tribali, "Spirit Walker" e "83rd Dream", ottimi episodi dark-rock, quasi alla Sisters of Mercy, ma molto meno sepolcrali, "Go West", la track più zeppeliniana dell'album, l'hard rockeggiante title track, colpiscono subito per la loro gradevolezza e la facilità di assimilazione. Particolare attenzione merita la voce di Astbury, sempre calda ed intrisa di passione. I picchi di "Dreamtime", sono forse da ricercare nel pezzo più dark dell'opera, ossia "A Flower in the Desert", molto coinvolgente nei suoi giri di basso tipicamente ottantiani e negli arpeggi melodici di chitarra, e soprattutto, nell'incalzante gotico ballabile di "Resurrection Joe".

Dopo questo disco, i Cult incideranno l'album "Love", che li portò al successo commerciale. Successivamente la vena dark di Astbury e Duffy si esaurì in favore di quell'hard rock fortemente influenzato dagli AC/DC e dai pluri richiamati Led Zeppelin, che li tenne costantemente sulla cresta dell'onda fino a "Ceremony", ma che valse loro sempre pesanti critiche.

In ogni caso non può assolutamente passare sotto silenzio l'importanza di questo lavoro di debutto dei Cult nello sviluppo di quello che successivamente rappresentò il dark rock (in questo senso, ad esempio, i Mission devono molto a Astbury e Duffy), così come deve essere sottolineata l'enorme influenza che ha esercitato la band nella nascita dello street rock americano della fine degli anni 80 (Guns, Skid Row e tanti altri).

In conclusione, anche se i Cult non hanno inventato alcunché, ma hanno ripreso ed elaborato in modo originale stili e generi già percorsi, bisogna comunque riconoscerne la loro importanza storica, spesso non valorizzata a dovere.

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