Paraculi, furbi, perfetti cavalcatori delle mode, eppure estremamente affascinanti.

Sto parlando di Ian Astbury e Billy Duffy, naturalmente, ossia un gallese cresciuto nel mito di Jim Morrison e profondo conoscitore della cultura degli Indiani d'America, e un ragazzo di Manchester che celava un'anima rocker anni 70 dietro le oscure apparenze gothic-punk dei primissimi eighties.

Creatura strana, capace di unire sotto un'unica bandiera i dark boys reduci della fine del punk, e gli sporchi e rozzi rockers da strada che sarebbero nati sul finire degli anni 80.

Da sempre criticati perché per nulla originali, ma, di fatto, precursori ed ispiratori dapprima di quel gothic rock nato sulle ceneri della darkwave (Mission che, tra l'altro, suonarono da spalla ai Cult diverse volte agli inizi della loro carriera, Fields of Nephilim) e successivamente dello street rock portato alla ribalta mondiale dai Guns n' Roses con "Appetite for Destruction" (il batterista dei Cult ai tempi di "Sonic Temple", Matt Sorum, entrò a far parte dei Guns in "Use Your Illusion I & II ed è tuttora il batterista della band di Slash, ossia i Velvet Revolver).

Dopo l'inaspettato successo dell'album "Love" che è stato il disco gothic rock più venduto di tutti i tempi (più dei Cure della trilogia, dei Sisters of Mercy, dei Joy Division e dei Bauhaus), Ian e Billy si tolsero definitivamente vestiti e pose gotiche per indossare i panni che erano loro più consoni, ossia quelli dei rockers.

Nacque così "Electric", pieno di riferimenti sonori al rock settantiano di cui i due inglesi erano innamorati (Led Zeppelin, AC/DC, Rolling Stones, Cream).

Con questo cambio di pelle, inoltre, Ian Astbury liberò finalmente quella carica da animale da palco che possedeva e potette estendere al meglio la sua voce calda e sensuale, anche se i suoi atteggiamenti erano fin troppo debitori nei confronti del re lucertola, suo idolo giovanile.

"Electric" è un ottimo disco di hard rock blues. Solo e semplicemente rock sanguigno ed energico senza fronzoli. Di quello che vi calcare il piede sull'acceleratore quando siete in auto, o che vi fa saltare e ballare quando siete in disco o ad un concerto.

Ascoltando i tre minuti scarsi di "Lil Devil" vi verrà voglia di prendere in mano una chitarra ed allargare leggermente le ginocchia, in quella tipica posa tamarra che Slash rubò a Billy Duffy. E quando ascolterete "Wild Flower", vi verrà l'istinto di arrampicarvi sulla cassa più alta e saltare sul palco seguendo l'esempio di Astbury nel clip della canzone.

Ad ogni modo nessuna traccia emerge rispetto alle altre (eccezion fatta per la già citata "Lil devil" che, per la sua carica trascinante, ed anche per la sua breve durata, metto su più volte rispetto alle altre).

Dall'opener "Wild Flower" ad "Aphrodisiac Jacket", passando per la cover degli Steppenwolf "Born to be Wild", "Love Removal Machine" e tutte le altre, "Electic" lo berrete tutto di un fiato, come un doppio Jack Daniels al vostro bar di fiducia.

Rock garantito al 100%.

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