"Boys Don't Cry" rappresenta l'alter-ego americano di "Three Imaginary Boys", primo album del gruppo di Crawley, Sussex. Robert Smith e soci (Micheal Dempsey al basso, Lol Tolhurst alla batteria) non erano per niente soddisfatti della tracklist di questo ultimo, dunque, approfittando della pubblicazione in America del suddetto esordio, approfittarono per operare qualche cambiamento. In primo luogo, ovviamente il nome. Nuove tracce vengono inserite, altre omesse. Fra le altre, fa qui capolino la famosa "Killing an Arab", che causerà al gruppo accuse anti-islamiche (niente di più ridicolo, dato che il richiamo è all'esistenzialismo di Camus e al suo "Straniero").
La copertina rispecchia il mood del disco, un paesaggio geometrico e desertico, un sole in evidenza, che con il suo potere "Camussiano" intorpidisce i sensi. Si inizia con "Boys Don't Cry", appunto, e proprio la title track rimarrà il brano maggiormente conosciuto dei Cure, con la sua melodia catchy propulsa da un ritmo ballabile, must tutt'oggi indiscusso in qualsiasi discoteca dalle velleità pop. Non è però il ritornello, originale ma non così spettacolare dopo tutto, a colpire nel segno, quanto le liriche, permeate di una poesia adolescenziale tanto "romantica"quanto spontanea. Il classico testo da dedicare alla persona amata.
"Plastic Passion" è post-punk classico. Il ritmo è sincopato e veloce, l'attenzione maggiore è da riservare alla chitarra di Smith, che risulta fresca, nuova, all'ascolto. È noto attribuire a questi grandi doti compositive, liricamente parlando, ma spesso si tralascia il suo approccio allo strumento, decisamente personale e innovativo, destinato negli anni ad evolversi, soprattutto in ambito psichedelico (vedi Wish, The Top...).
"10. 15 Saturday Night" fa anch'esso leva sulle pene d'amore, e ci suggerisce la dolce visione del "Loser" che aspetta la chiamata della sua amata seduto sul lavandino, in una interminabile attesa scandita dallo sgocciolare martellante e continuo. I piccoli tocchi di chitarra all'inizio del brano sono proprio la trasmigrazione delle piccole e odiose gocce (e un'altra trovata di Smith). "Accuracy" introduce la componente esotica del disco, con continui echi di musica araba, o per meglio dire "arabeggiante", con la sua andatura cadenzata e trascendente.
"Jumping Someone Else's Train" come suggerisce il titolo, è un ballabile ferroviario, con un eccellente lavoro di Dempsey, stavolta protagonista. La successiva "Subway Song" è di difficile analisi, potendo sembrare a prima vista uno scherzo di cattivo gusto; l'andamento è vellutato, impercettibile fino allo spegnimento assoluto. Il silenzio viene però interrotto da un urlo agghiacciante, che rappresenta l'epilogo della "storiella" narrata da Smith, riguardante un pedinamento notturno. "Killing an Arab", con la sua melodia desertica (resa genialmente nel video, girato siin un luogo desolato, ma ghiacciato, non assolato come ci si potrebbe attendere) si candida a capolavoro del disco; Smith canta con tono secco e distaccato, da discepolo devoto di "Camus", su un paesaggio sonoro fantastico, lontano, stordito e onirico. Chitarra e basso si superano stavolta, soprattutto quest'ultimo, con un giro assolutamente memorabile.
Sullo stesso livello si mantiene anche "Fire in Cairo", la cui sfortuna è di non poter contare dell'effetto sorpresa della sopracitata, essendo stata pubblicata tempo prima. La falsariga è sempre quella "araba", tuttavia il contenuto è all'insegna dell'eros, sfrenato ed appunto "infuocato". Lo spettro delle future frustrazioni e malinconie di Smith emerge sofferente con la grigia, ma bellissima, "Another Day", il trionfo dell'esistenzialismo adolescenziale. Noia, senso di inutilità, stasi:
"I stare at the window"Grinding Halt", con la sua esuberanza, da quasi fastidio, e possiamo ipotizzare che il motivo di inserirla adesso sia proprio questo... i nostri dopotutto sono ancora ragazzini, e nonostante uno spessore non comune la tentazione "punkysh" di shockare è grande. La cesura del disco è una possibile anticipazione del venturo "Seventeen Seconds".
Stare at the window
Waiting for the day to go
Winter in water colours
Shades of grey"
"Three Imaginari Boys" è un lamento oscuro e rarefatto. Il cantato e la musica sono dilatati e remoti, ed è proprio questo andamento che taglia definitivamente le, seppur giovanissime, radici post-punk, che già in "Another Day" erano state messe in discussione. Il brano è un classico gioiellino triste, come tanti ce ne regalerà ancorala mente tormentata e lunatica di Smith. A differenza però di un tormento più manieristico, come ad esempio in "Pornography" ma soprattutto in "Disintegration" (due album fantastici, ma che eccedono rispettivamente di catastrofismo e autocommiserazione, a mio avviso), qua il malessere è quantomai spontaneo, come solo quello di un ragazzo può esserlo.
Il cuore dell'album è quindi il passaggio di consegne tra un'adolescenza (consapevole, ma sbarazzina e non priva di vigore, come testimoniano la maggioranza dei brani, diorientamento post-punk), e una fase della vita riflessiva, dedicata all'introversione, alla disillusione e a problematiche più adulte. Il percorso che ognuno di noi ha dovuto, o dovrà intraprendere, interpretato con freschezza, originalità, consapevolezza ed esistenzialismo novecentesco. Questo è "Boys Don't Cry".
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