Un tenebroso giro di basso apre il disco e "The Holy Hour" scorre ritmata, oscura e distaccata, così come la voce di Smith che diventa più stentorea e sinistra che in passato, se "Seventeen Seconds" era immerso in una densa foschia, "Faith" si discosta dal disco precedente e il suono del gruppo diventa più lento, il tempo è scandito da ritmi meccanici e senza variazioni, le chitarre sono taglienti e scarne, i sintetizzatori creano vortici malinconici e tristi litanie, il basso di Gallup sorregge ogni canzone con linee avvolgenti e fosche.

Con le eccezzioni di "Primary" e "Doubt" (che sono 2 tracce post-punk veloci non molto in linea con l'oscurità dell'album) il disco si muove su sonorità a tratti immobili, quasi a fermare il tempo in un grigiore infinito. "Other Voices" è cupa e dai toni intimi. Un rallentato ritmo tribale regge le fondamenta di "All Cats Are Grey", evocativa, epica e scura, con delle linee melodiche emozionanti quanto tristi. Uno dei punti più alti del disco si ha con "The Funeral Party" eterea, un viaggio intenso e drammatico dove la vita è finita e l'inverno ha congelato ogni movimento e ogni segno vitale.

Continua l'oscura e intensa marcia con "The Drowning Man" piena di echi e riverberi nel lavoro di batteria e nella voce di Smith, l'ansietà e la disperazione sono sempre presenti e come nubi di temporale si impossessano di ogni nota. Alla title-track il compito di chiudera l'album, una canzone che rappresenta l'intero spirito dell'opera, oscura, lenta, malinconica e piena di quella "monotonia" e immobilità musicale che da al disco un'impronta unica, personale e oscura.

Un disco che fa di dei "punti deboli" i suoi punti di forza. Onore ai Cure per essere riusciti a creare un'opera così evocativa e abbattuta, un'infinito cielo grigio prima della notte più buia e allucinata di "Pornography".

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