Non appena il Disco comincia a girare le orecchie vengono pervase da un suono tipicamente retrò. Timpicamente anni '80. "Let's go to bed" apre questo Album, con una dolcezza tale da far sentire l'atmosfera Natalizia nelle vene. Stranamente Pop (il buon e caro Pop) questo Singolo è un piccolo tesoro, da conservare con cura. La struttura come per la maggiorparte delle canzoni dei Cure è molto stabile, ma pian piano si aggiungono tante sfaccettature che ne arricchiscono il Sound, sfumature alle volte impercettibili che però, danno quel tocco di incanto alla melodia. In questo Brano è il caso della chitarra, che intona una ritmica Funky sul finire di canzone proprio mentre Robert si appresta a sognare "tu tutu tu..tu tutu tu... Let's go to bed..".

La traccia seguente, "The dream", risente di una sonorità giapponese, a dir poco deliziosa. Complicata è criptica, regala una carica perlacea, lasciando ben sperare per ciò che ariverà di li a poco. Le tastiere si insultano a vicende tra versi inusuali e sperimentali, come anche la batteria, si articola in un tempo spietatamente impossibile e coinvolgente. A seguito di questo splendido incipit, il Disco assume una forma tutta sua, indescrivibile. "Just one kiss" è il primo pezzo che riprende le atmosfere Dark, ma lo fa in una maniera insolita. Ammetto di versare qualche lacrimuccia ascoltandola. Un tempo tribale si unisce all'amalgama, supportando l'angoscia donata dalla voce. Un arpeggio delicato si snoda per tutto lo scorrere del pezzo, mentre le tastiere aggiungono pathos con il loro flebile vociare. Commovente quando Robert intona "Remember the sound that could wake the dead...but nobody woke up at all..somebody die for this...somebody die for just one kiss". Il basso incalza sempre più, mentre ci appropinquiamo alla fine di questa meraviglia. L'arpeggio si distrugge in milioni di rumorini, lasciando la parola a "The upstairs room". Anche qui il tema Dark è presente. Chitarre miagolanti si fondono al basso che raggiunge l'orgasmo nel ritornello. GLi armonici che fanno da sottofondo nel Bridge e nell'Intro immergono l'ascoltatore in un mondo cristallino e fragile.

The walk" si rivela essere il pezzo più "Dance", del Disco. I richiami alle sonorità giapponesi qui sono molto più espliciti. Un ottimo brano, che spezza un pò, fa da spartiacque tra le 2 parti del CD, una più Pop, l'altra quasi Jazz. Ed infatti "Speak my language", si presenta con una tendenza quasi Jazz. Contrabbasso al posto del basso, spazzole al posto delle bacchette. Mancano quegli effetti tipici degli '80. Umbratile e confortevole, gioiosa e divertente, soprattutto quando Robert incomincia a farfugliare parole incomprensibili urlando "Speak my language!!". Splendida. Ma è ancora più meraviglioso il Brano che sussegue. Se con "Just one kiss", avevo le lacrime, con "Lament" esplodo in un pianto disperato. Sublime. Sconvolgente. Ritorna la batteria anni '80, che travolge col suo martellante suono, come un terremoto si sposa perfettamente al basso, possente, con una linea profondissima e spiazzante. L'arpeggio mozza il fiato per la sua sinuosità. Le tasastiere urlano il dolore, soffocano nei loro sussurri giapponesi. Un climax ascendente che asplode come una furia inondando di lacrime il cuore, sino alle ossa, che impotenti si frantumano. Un capolavoro. Indescrivibile le emozioni che mi fa provare. Non saprei nemmeno da dove iniziare. Emozioni viscerali.

Ci si avvia verso l'ultima Traccia, "The lovecats", che riprende il tema Jazz. Cristallina e pulita. Si muove come un gatto, con la stessa cusiosità, la stessa indifferenza, la stessa morbidezza. Il pianoforte da delicati colpetti, come fosse suonato dalle timide zampette di un micino. L'Album è finito.

Si tratta di una Compilation (anche se per me è un Album a tutti gli effetti). E' difficile credere che questo Disco sia venuto subito dopo "Pornography" (solo il nome mi da i brividi). La camaleonticità dei Cure si fa grande, mutando in genio.

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