Japanese Whispers fu pubblicato ufficialmente come una raccolta dei principali brani scritti da Robert Smith in una delle fasi più instabili della band britannica. Fase cronologicamente collocabile tra Pornography (1982) e The Top (1984) e di grande rilevanza nella prospettiva storica dell'evoluzione del gruppo. In quel periodo, infatti, Robert Smith maturò indipendentemente dagli altri membri della band svariate idee e progetti, che lo portarono a scrivere molto materiale sia in autonomia, sia collaborando con altri musicisti della scena post-punk dell'epoca.
Ma il nome dei Cure, tralasciando il lungo tour con Siouxsie and The Banshees (con il relativo doppio album live Nocturne) e l'album dei Glove (Blue Sunshine scritto assieme a Steve Severin, bassista dei Banshees), si legò comunque ad una linea progettuale ben precisa, che vide Smith affrontare una svolta stilistica e iconografica notevole.
Dall'essenza delle canzoni che finirono poi pubblicate su Japanese, maturarono infatti la rifondazione del gruppo e i due significativi dischi della metà degli anni '80: The Top e The head on the door.
Lo stacco dalle atmosfere prolissamente oscure e nichiliste di Pornography risulta subito evidente, laddove brani come Lovecats, Upstairs Room e The Walk mostrano un approccio più disinvolto, disilluso e spesso scanzonato con le emozioni della vita. Pur restando aderente ad una visione non luminosa del futuro e dei rapporti con gli altri, Robert Smith nel 1983 cominciò a scrivere testi meno incentrati sui corti circuiti interiori; cominciò a guardarsi intorno, a descrivere amori quotidiani (Let's Go To Bed, Speak My Language), piccoli drammi urbani (Lament), sensazioni oniriche (Just One Kiss, The Dream). Il tutto impostato su una scelta di sonorità sicuramente meno tradizionali per lo standard dei Cure; sonorità generate dall'uso di strumenti a loro volta rivelatori di una sfumatura più sarcastica e trasognata, al punto da contaminare di jazz il mood di certi brani (pianoforti, trombe, contrabbassi, flauti) o di tecnopop (sintetizzatori, drum-machines).
Tutto questo, non a caso, si riverserà parzialmente negli album successivi di cui sopra, mitigando talvolta la vena scanzonata, ma cancellando fortemente le impressioni depressive e dark degli esordi. Mantenendo forse più viva l'impronta jazzistica che non quella elettronica.
Japanese Whisper racchiude l'essenza di questa fase e ne diventa unica testimonianza, proponendo otto canzoni tra le molte che furono pubblicate su mix, remix, mini-LP nell'arco di quei quindici mesi.
Da rilevare, tra i vari strumentisti che collaborarono con Smith allora, il bassista Phil Thornally (che suonò anche in The Top e nel relativo tour) e il batterista Steve Goulding.

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