Robert Smith, nel corso degli anni ha letto la propria mente, soffrendo, rischiando il suicidio ma sempre chiarendo la sua condizione. Chiarire dopo uno sfogo, ecco il potere della scrittura.

C’è chi lo definisce un filosofo, chi un poeta della tristezza.. fatto sta che sarebbe sbagliato non tenere conto dell’importanza di questo strano personaggio, così reale con i sui dubbi e i suoi malesseri e così trascendente nel modo in cui li racconta immerso nella fantasia, quella che hanno i bambini o i grandi geni.

Dopo essere stato in bilico tra il post-punk, il dark, la new wave, inizia a intravedersi l’orizzonte del pop intelligente, quello mai banale, mescolato con le solite tinte dark. La musica dei Cure diventa un tantino più orecchiabile ma non di conseguenza commerciale e di scarso valore. La cosiddetta svolta avviene con questo EP, che vede nelle musiche, molto meno tristi degli album precedenti, l’utilizzo di tastiere e ritmi molto accattivanti (certe volte quasi dance), testi sbarazzini e scherzosi ma pur sempre con quel retrogusto sognante e misterioso che ci lascia riflettere.

“The walk”, “Let’s go to bed” sono brani ritmati, surreali, sul tema amoroso. Nel caso di “Just one kiss” (un racconto evocativo), “The upstairs room” e “La ment” (un gioco di parole?), si ritorna alle atmosfere cupe e rarefatte degli album precedenti.
Il brano migliore si trova alla fine: “The Lovecats”, i Cure a ritmo di swing, Robert Smith miagola fra i versi di questo classico, molto divertente sui “gatti dell’amore”. Questo “Japanese Whispers” è un modo per comprendere l’evoluzione, per altri involuzione, della Band di Robert Smith.

Non siamo ancor ai livelli dei capolavori del futuro (“The top”, “The head on the door”, “Kiss me Kiss me Kiss me”) ma rimane una buona prova che sottolinea dei cambiamenti in atto, un po’ acerba soprattutto nelle musiche.

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