Il capolavoro della prima generazione dark. L'estasi del Robert Smith depresso e allucinato, non ancora uscito dalla spirale stupefacente che nel periodo caratterizzava la sua vita e, di conseguenza, le sue creazioni.
L'anno è il 1982, il punk vive ormai solo come moda sfibrata e i gruppi nati dalla prima ondata di post-punk si disperdono in quella marea colorata e zingara che è la New Wave. C'è chi prosegue negli esperimenti elettro-rock, chi punta sul noise, chi strizza l'occhio di più al mainstream. E poi c'è il popolo del cerone e dell'ombretto nero.
Comunemente definiti dark, gli ascoltatori di gothic rock rappresentano un importante filone di accoliti new wave, seguaci à la mode di Siouxsie Sioux e dello stesso Smith (che peraltro con i Banshees di Siouxsie ha a lungo collaborato). In quell'anno i Cure tirano fuori "Pornography", disco-suicidio del primo viaggio oscuro del gruppo di Crawley (a chiudere il trittico composto con Seventeen Seconds e Faith). Nel 2003 verrà considerato il primo elemento della Trilogia buia dei Cure (assieme a Disintegration e Bloodflowers). La formazione della band (che nella sua storia ha visto un numero di componenti impressionante, col solo cantante-chitarrista-creatore Robert Smith a fare da elemento comune) all'epoca era costituita, oltre a Smith, dai due più significativi membri della storia del gruppo: Simon Gallup al basso e Lol Tolhurst alla batteria. I tre firmano tutte le 8 tracce del disco (poche, ma dalla durata media di oltre 5 minuti a brano).
L'album si apre con quello che forse è il pezzo migliore, oltre che il più lungo, "One Hundred Years": la nevrotica e metronomica batteria di Tolhurst lancia il brano in verticale, mentre le agghiaccianti sonorità della chitarra di Smith lo fanno aprire in orizzontale, vibrando nel denso mare oscuro creato da Gallup e dai sintetizzatori. Proprio la parte elettronica è significativa nell'album: anche se ancora distante dalle tastiere a pioggia che Roger O'Donnell dipingerà per "Disintegration" sette anni più tardi, contribuisce a creare un vortice sonoro di stordimento, un nero abisso dal quale la particolarissima voce di Smith esce a volte come una lama di luce, a volte come un tetro canto di una sirena morente. I testi dell'epoca sono tra i più depressi mai scritti, tanto che il disco si apre con "It doesn't matter if we all die - Non importa se moriamo tutti". "A Short Term Effect" è un museo di echi e riverberi, mentre con "The Hanging Garden" la scheletricità della ritmica di Tolhurst si riempie di tom, come a sottolineare la corsa verso il basso dell'ascoltatore, inseguito dai riverberi della chitarra. "Siamese Twins" parte lenta e scandita e accompagna i lamenti di Smith, nascendo, scorrendo e spegnendosi con la stessa magica semplicità.
Il disco scollina la metà con la magnifica e cupissima "The Figurehead", in un trionfo di tom e di note di basso scavate direttamente dal centro della Terra. Il ritmo è lo stesso lamentoso cammino verso l'implosione (anzi, verso la disintegrazione del 1989), con la spettrale chitarra di Smith a punteggiare il sentiero tracciato dalla sua voce, proveniente da una caverna di disperazione interiore. La continuazione naturale è "A Strange Day", con i suoi sintetizzatori alla Vangelis (è d'altronde l'anno di Blade Runner) a tessere il tappeto per un'ottima esibizione chitarristica di Smith.
"Cold" più che fredda è inquietante, con le tastiere che innalzano muri enormi e nel contempo disegnano strani insetti che vi zampettano sopra con un suono glaciale, il tutto inzuppato nell'ormai familiare incedere da sabba comatoso dettato da Tolhurst. Chiude l'album la title track, "Pornography" appunto, che parte da una conversazione televisiva campionata ma che pare pervenire direttamente da un freddo paesaggio lunare, e pian piano l'esercito delle ombre avanza soffocato in mezzo alla polvere. La tempesta elettronica qui è minimale, fatta di strane voci metalliche, perfetta per un trip andato male.
"Pornography" si chiude dopo un lugubre viaggio di 43 minuti nell'alienante paesaggio che è la mente di Robert Smith, capace di trasformare le linee secche dei primi lavori in liquide vasche di acido in cui immergere le proprie ossessioni, partorendo una creatura distorta e sofferente, dotata del macabro fascino che solo un lavoro dei Ragazzi Immaginari di Crawley può avere.
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