Nel 1984 la scena della new wave andava radicalizzandosi sia nei suoi principali filoni musicali, sia nell’immagine e nelle iconografie. Il magma del cosiddetto post-punk veniva codificato attraverso tutta una serie di gruppi che definendosi ora gothic-punk, ora dark e quindi in mille altri modi davano vita a ramificazioni di generi (e conseguentemente di fans) in realtà tutti accomunati dalla volontà di reinterpretare gli stilemi del rock tradizionale dopo la rottura del fenomeno punk.

I Cure, in questo panorama, si stavano muovendo tra l’instabilità della formazione e la ricerca di un’identità che dopo le depressioni di Pornography e il pop elettronico venato di jazz raccolto in Japanese Whisper necessitava di direttive precise. Robert Smith e Lol Tholurst, leader storici del gruppo, cominciarono ad adottare un look tra il tetro e il grottesco che facesse da specchio alle costanti angosce individuali e sostenesse una personale rilettura delle cose prodotte fino ad allora.

The Top, infatti, pur considerato un album anomalo nella storia di questa cult-band, suona un po’ come la sintesi dei progetti passati e di quelli a venire. Intriso com’è di ammiccamenti burleschi e giocosi (Caterpillar), di altri jazzismi e di caleidoscopi rilassati e ironici (Bananfishbones, Piggy in the mirror), di inquietanti e disperati riferimenti sessuali (Shake dog shake, Give me it), di malinconie notturne (Dressing up) e di nenie arabeggianti (Wailing wall), l'album sembra rieccheggiare con un nuovo smalto le atmosfere dei primi dischi e nel contempo anticipare i successivi lavori. Il tutto con una maturità artistica che superava in un balzo gli ammiccamenti synth-pop di Let’s Go To Bed e poneva le basi di una nuova importante fase creativa. Senza The Top non avremmo avuto The Head On The Door e Kiss Me Kiss Me Kiss Me.

Non si tratta di un’opera così immediata, tuttavia. A dispetto delle contaminazioni di colori iridescenti che stemperavano il nero del look di quel periodo, si tratta del lavoro più eterogeneo e imprevedibile realizzato fino a quel momento. Sebbene impreziosito da ritmi e melodie che non sfigurerebbero nei dischi di qualche illustre cantautore internazionale, non c’è un solo brano che possa arrivare al cuore con la semplicità più lineare del successivo The Head On The Door. Non cè un solo brano che non riveli un percorso complesso, una metafora poetica, un simbolismo quasi esoterico nelle intenzioni di Robert Smith e quindi dei suoi compari.

La presenza di molti animali nei titoli delle canzoni è l’esempio più evidente di questa scelta trasversale. Ci sono il cane, l’uccello, il maialino, il bruco, il pesce... e nei testi si citano anche l’orso polare, il gatto... Una sorta di allegoria zoologica della tribù umana in cui i personaggi si identificano per comportamenti e stili di vita. Un'allegoria solo apparentemente amena che fa da contorno al pesante senso di smarrimento e di disillusione che attanaglia l’individuo, incapace di arrivare sulla cima e probabilmente incapace anche di scenderne.

Esplosioni di violenza ritmica si alternano a riflessivi momenti impressionisti, in questo composito album che segnò una decisiva affermazione del dark-look nel mondo giovanile. Capelli cotonati, rosari e crocefissi, scarpe creeper, rossetti e rimmel sono l’altra faccia della soluzione di mascherarsi altrimenti da animali; nella vita così come sul palco.

The Top dunque, apparentemente opera di transizione, sembrerebbe invece la chiave di volta per capire l’evoluzione dei Cure e la definitiva codificazione di un'onda culturale che, bene o male, segnò un’epoca.

Carico i commenti...  con calma