Cos'è "Wish"?
"Wish" è forse una stella cadente dall'andatura aliena: la puoi fissare nella tua notte preferita, con le orecchie drizzate, in cerca di un desiderio sepolto. È forse esso stesso un desiderio, lungo un'ora o poco più, come il suo nome suggerisce. O è forse tutt'attorno un desiderio, in quell'ora benedetta, che la stanza e le mura cedano e il letto sprofondi in un universo sotterraneo, caldo. È un desiderio d'Amore, nel senso primordiale del termine. Un desiderio formulato forse sotto un cielo spaventosamente stellato da un'anima dolce, Robert Smith, il cantore di sogni, il menestrello triste, l'autore di dolci ballate dal cuore di fiele. Lui, che apre il suo Desiderio con un urlo d'amarezza nei confronti di se stesso, un se stesso ebbro alle prese con i flussi di coscienza e i rimpianti e la bile che sale su su per lo stomaco e arriva a chi lo ascolta esterrefatto. "Non ne posso più/ È così che sono diventato/ È questo quello che mi spetta/ Ora che la mia vita sta perdendo senso...".
E, come se non bastasse già questo a sciogliere il cuore come burro su cucchiaio rovente, "E il modo in cui la pioggia cade giù, rumorosamente/ È il modo in cui mi sento...". Il cuore è aperto, ora. Largamente squarciato. Senza riserve. Si è pronti a tutto. A succhiare l'infinita dolcezza dell'amaro senza perderne una goccia. Perché, si sa, i desideri sono amari come le stelle che li balbettano alla nostra faccia. Questo è. Tenere dichiarazioni. Insonnie amorose. Promesse infrante. Disincanto. Poesia diretta, urlata senza reticenze, senza intellettualismi, come solo i bambini sanno fare. E di nuovo incanto, dolcezza. Una perpetua e solenne discesa nelle profondità della profondità di sé. "Urlare il proprio cuore è il miglior metodo per imparare a cantare". E lo mette in pratica, in un groviglio di nervi e viscere e cuore e sangue... e, alla fine, dopo l'immensità del desiderare cose impossibili, quella sensazione di malinconia e ristoro nel contempo, che è forse l'unica catarsi in un mondo che vuole rubarci i nostri desideri... alla fine di ciò, l'epilogo. Si ritorna nel baratro, per non dimenticare che siamo esseri fragili. Che la catarsi è solo momentanea. Che, alla fine, i desideri torneranno a splendere ad intermittenza in un blu-notte infinitamente soprastante le nostre lacrime e che a noi sarà dato unicamente di fissarli in stasi perpetua. Per l'eternità. "Penso di aver raggiunto il punto/ In cui ogni parola che scrivi/ Di ogni mare di sangue oscuro/ E ogni notte dall'anima nera/ E tutti i sogni in cui mi hai sognato/ E ogni perfetta assoluzione dal peccato/ E occhi in fiamme/ E cuori infuocati/ Sono solo la stessa vecchia canzone". Amen.
Carico i commenti... con calma