Il supergruppo è sempre foriero di sfiducia, bene che vada ti trovi sottomano i Them Crooked Vultures - ossia un dischetto tanto gradevole quanto senza particolari pretese, dove ogni tanto i 3 partono per la tangente per farti vedere che sono bravi, ma che infondo regala 50 minuti di rock ben suonato, che di questi tempi non fa mai male -, se va male ti trovi fra le mani... beh, qui gli esempi potrebbero riempire l'intera recensione e direi che non è il caso.
I The Damned Things sono in 6, equamente divisi fra Anthrax (le chitarre di Ian e Caggiano), Fall Out Boy (la chitarra di Trohman e la batteria di Hurley) e Every Time I Die (Newton al basso e Buckley alla voce); mistura che sembrerebbe quantomeno assurda che però all'ascolto di debutto "Ironiclast" si rivela decisamente vincente.
Temevo una versione più leggera, ma nemmeno troppo, degli Every Time I Die, con Buckley al solito a produrre testi chilometrici da infilare in ritmi articolati. La sorpresa si materializza alle mie orecchie sin dall'opener "Handbook For The Recently Deceased", dove tutti i membri, pur con evidenti rimandi alle peculiarità delle rispettive esperienze, forgiano un sound vergognosamente catchy (ehi, i due dei Fall Out Boy ci sono per un motivo, tutto sommato), su cui trionfa l'ottima voce di Buckley, finalmente libera di mostrare le sue qualità anche nel pulito. I due pezzi successivi sono altrettanto poderosi: "Bad Blood" mi ricorda vagamente i Turbonegro, "Friday Night (Going Down In Flames)" è una rasoiata pazzesca. La parte appena centrale, contenente anche il primo singolo "We've Got A Situation", è forse quella leggermente più debole, pur mantenendosi su livelli sufficienti, segno che comunque la formula elaborata dai 6, riassumibile in "chitarrone in primo piano modello Anthrax + rock'n'roll poco canonico di stampo Every Time I Die + ritornelloni da stadio à la Fall Out Boy" funziona comunque benissimo. A seguito del pezzo peggiore del lotto ("A Great Reckoning") si rialza decisamente il livello con "Little Darling", pezzo irresistibile che suona come gli Scars On Broadway se avessero un cantante decente. Sul finale dell'album rispunta a tratti il Buckley che conosciamo, con urla stavolta sapientemente inserite nel meccanismo del nuovo gruppo (anche se la title track ha grossi rimandi agli Every Time I Die più melodici, per quanto possano essere definiti tali).
Il finale è ancora su altissimi livelli con "Graverobber", che sembra un contentino per i due degli Anthrax, che infilano qua e là riff tipicamente loro pur senza alterare eccessivamente la struttura del pezzo che rimane perfettamente in linea con i precedenti, e "The Blues Havin' Blues", mio personalissimo pezzo preferito e degna chiusura di un album che rivela come anche dai supergruppi sia lecito attendersi ottime prove, in attesa di vedere come questi pezzi renderanno dal vivo, dato che apriranno il 2 giugno per i System Of A Down, e sperando che questo "Ironiclast" possa avere un domani un successore di uguale qualità.
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