"Bohemian Like You" vi dice qualcosa? Chi dimentica è complice, sappiatelo.
I Dandy Warhols in realtà sono molto di più di quel singolo: personalmente sono un amante dei primi dischi, quelli più dannatamente psichedelici, e sono proprio su quelli che il quartetto da il meglio di sè. Seguirono comunque degli ottimi dischi.

Avrei volentieri recensito uno di quelli ma, purtroppo o per fortuna, sono arrivato tardi ma trovando campo libero per questo disco live.
Premetto che i live dei Dandy Warhols non erano mai riusciti pienamente a soddisfarmi, ma ecco qui l'eccezione.

La tracklist consiste semplicemente in "Thirteen Tales From Urban Bohemia" (2000) nella sua completezza.
L'album non ha bisogno di presentazioni, fu il disco che li consacrò al grande pubblico.

Seguendo l'ordine esatto, parte subito il combo "Godless" + "Mohammed" + "Nietzsche": leggermente più lente delle originali, si fanno campo con il loro caratteristico lento, appunto, andante tra chitarre acustiche, dai sentori Western (memorabili trombe in "Godless"), inebriate dalla vocalità trasandata ed intontita di Taylor-Taylor. Di una profonda e semplice psichedelia.

Si alzano i bpm man mano che scaletta prosegue. Arriva il turno di "Country Leaver", atto di Country psichedelico, e un altro combo composto da "Solid" + "Horse Pills" + "Get Off": meno psichedelia e più distorsione per un Alternative Rock un po' più classico.

Tutto procede che è una meraviglia e infatti arriva il momento di "Sleep", che riprende il lento andante delle prime tracce e con qualche accordo di chitarra acustica ti culla gentilmente.
Questa è proprio la peculiarità dei Dandy Warhols: la capacità di sfornare brani dalla struttura semplicissima, speziati con quella psichedelia stordita, che funzionano in modo perfetto.
Potrebbero essere la colonna sonora di un cowboy rimasto a piedi per lande deserte, sfinito per il caldo e con le allucinazioni. Quell'illusione di trovare una fonte da cui dissetarsi.

Procediamo con "Cool Scene", si prende velocità e si riprende qualche sonorità Country, per arrivare poi al classicone "Bohemian Like You": è un pezzo che gasa, inevitabile. Purtroppo proprio nella suddetta troviamo l'unico "passo falso" del concerto, ovvero la vocalità che stavolta vede Taylor-Taylor in notevole difficoltà.
Mi sento, però, di sorvolare tranquillamente. Son sicuro che anche il pubblico presente l'ha fatto, sicuramente impegnato a salterellare.

Segue "Shakin'", un po' sulla falsa riga della precedente, e "Big Indian", dove le vocalità diventano più limpide, più chiare e meno effettate, tornando nuovamente a quella euforizzante e piacevolmente fiacca psichedelia. Il pezzo con la miglior prestazione vocale.

Chiude questo bellissimo flashback al 2000 una delle tracce che preferisco, vale a dire "The Gospel". Ancora più lenta dell'originale, dove la malinconia "evangelizzante" fa da padrona assieme all'ottima prova chitarristica.

Caspita se ne è valsa la pena. Perfetto per chi avesse intenzione di rivalutare "Thirteen Tales From Urban Bohemia".

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