Il Canada è da qualche anno divenuto la fucina del pop più ricercato e ricco di suggestioni. Broken Social Scene, The Destroyer, New Pornographers, Hidden Cameras, The Arcade Fire, Feist sono solo i primi nomi che mi vengono in mente di una scena che ha saputo conquistare, con indubbi meriti, una posizione centrale nel panorama musicale odierno. Per trovare, in tempi recenti, un luogo altrettanto prolifico di talenti pop oriented, bisogna andare alla Scozia a cavallo tra '80 e '90. The Dears, da Montreal, sono un altro nome da aggiungere a questa ormai nutrita schiera.

No Cities Left, lavoro pubblicato da noi nel 2004, ha avuto una lunga gestazione, ma, diciamolo subito, a sentire i risultati, il tempo non è stato davvero sprecato. La "stella polare" del gruppo canadese sono gli Smiths, e per capirlo non c'è bisogno di leggere le note di copertina nelle quali si dichiara apertamente la loro passione per la band di Morrissey. Ma tra i riferimenti più evidenti vi sono anche i Blur di Parklife e gli stessi Pulp.
Il cantante e leader Murray Lightburn ha una voce simile a quella di Albarn, anche se più profonda, e dev'essere un romantico d'altri tempi, da "Sturm und Drang", e non solo per la copertina ispirata al grande pittore Friedrich. Non credo, infatti, che egli avrebbe delle remore ad emulare il suo idolo, gettando fiori dal palco ai suoi fans.

Messa così, mi rendo conto, la cosa sa un po' di deja vù; forse gli orfani, e ce ne sono, della premiata ditta Marr-Morrissey potrebbero essere incuriositi, anche solo per verificare se il modello ispiratore è riuscito a dare i frutti sperati. E se i nostalgici fan per caso dovessero partire dal terzo brano, "Lost In The Plot", il singolo che ha fatto da apripista, o da "Don't Lose the Faith", potrebbero stropicciarsi gli occhi per lo stupore o cullarsi nella magnifica illusione di stare ascoltando un inedito del gruppo di Manchester dei tempi di "Strangeways Here We Come".
Ma attenzione: No Cities Left non è solo un album che cerca di ripercorre le vie più virtuose del rock anni '80, né, tantomeno, un interessante lavoro di semplici quanto dotati giovani epigoni. Basta ascoltare "Who Are You, Defenders of Universe" con le sue melodie "malate", con i riff quasi acidi, con i riferimenti al gruppo anni '80 di Terry Hall, i Colourfield, per rendersi conto di essere davanti ad una band che è molto di più che una copia riuscita degli Smiths. In "The Second Part", per esempio, si cerca, con ottimi risultati, di coniugare la chanson francese, siamo sempre in Canada, con la pop song alla Neil Hannon (Divine Comedy). Né mancano spunti che rendono l'album sorprendente e ricco di "finestre", che offrono panorami vari e intriganti. I 7 e passa minuti di "Expect the worst / 'Cos She's a Tourist (che titolo!) partono con archi alla Michael Nyman, accompagnati da ritmi incalzanti e da cori, per poi virare, improvvisamente, in una lenta e molto british ballad e finire con fiati quasi jazz. Oppure "Pinned Togheter, Falling apart" che sembra un Wyatt melodrammatico, rumorismi alla Soft Machine compresi. Vi sono anche solari pop song, "Never destroy us", che mutano in psichedelici blues, per poi morire tra urla krautrock. In "Warm e Sunny day" e "22: the death of all romance" il buon Murray dà libero sfogo alla sua vena più "leggera", duettando con la Yanchak. E non è finita: "Postcard from Purgatory" cita anche la Grace Jones di "Libertango", con lungo finale alla Spiritualized e chiude la title track che ritorna a far sognare sulle sponde della Senna, archi compresi.

Ho sempre mal sopportato l'abitudine di certa stampa, soprattutto britannica, di gridare ogni tre mesi alla "new best thing", ma è altrettanto sbagliato non riconoscere i meriti, soprattutto quando sono così evidenti, per dimostrare di essere un "osso duro".
The Dears sono, senza mezzi termini, una delle band più entusiasmanti ascoltate nel corso di quest'anno e credo si possa scommettere sul loro radioso futuro.

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