Accade in Francia che nel 1600, quasi 1700, la gente comincia a sbudellarsi allegramente per cose di religione.

Allora, ad un certo punto, per fare capire a tutti chi è che comanda e dare l’esempio, il buon cardinale Richelieu spedisce il barone di Laubardemont in un paesino a caso, tale Loudun, alla testa di un drappello che ci si mette di buzzo buono per abbatterne le fortificazioni, perché basta colpirne uno a caso per educarne cento.

Ma va a finire che a Loudun ci sta il prete Urbain e che questi non ha di meglio da fare che opporsi strenuamente all’abbattimento delle mura.

In verità Urbain di meglio da fare ce l’ha e lo fa, perché è un prete, sì, ma ancor di più è uomo di gran fascino ed incline ad assecondare le tentazioni della carne, onde per cui prima intrattiene rapporti non propriamente casti e puri con le penitenti in cerca di una parola di conforto, e poi unisce i propri lombi in clandestino coniugio con quelli della piacente Madeleine.

Succede pure che la superiora del monastero di Loudun, tale Jeanne, nutre una focosa passione per Urbain: lei mica ci sta per vocazione, in quel monastero, ma solo perché la sua deformità non le ha concesso di spartire alcun talamo nuziale; ma per Urbain perde la testa, e la perde a tal punto che se lo vede intento a camminare sulle acque e perfino crocifisso.

Ora, Loudun è un buco e quanto ci può mettere Jeanne a scoprire le tresche di Urbain?

Per cui, è solo questione di tempo e quando lo scopre, apriti cielo, gliela fa pagare cara e butta lì la voce che Urbain si serve delle pratiche del demonio per entrare nel monastero ed abusare di lei e pure delle consorelle.

A Loudun arriva l’esorcista che passa in rassegna tutto il monastero e spara il suo giudizio, «Queste sono tutte indemoniate» e Urbain le ha invasate.

Urbain va a processo e sotto tortura spiattella tutte le sue malefatte, beccandosi una sfilza di condanne per stregoneria, oscenità, blasfemia e sacrilegio, che lo portano dritto dritto al rogo.

E mentre lui brucia, pure le mura di Loudun vengono tirate giù.

Su questa edificante vicenda ci hanno scritto libri e girato film.

Uno l’ha girato Ken Russell nell’annus admirabilis 1971 e si chiama «The Devils», i diavoli, ed arriva pure da noi, subito tacciato di blasfemia, mistificazione, faziosità culturale e storica; ed il critico che, sulle pagine del quotidiano cattolico Avvenire, si avventura a lodarne il valore, è sbattuto fuori dalla redazione a suon di critiche pedate nel deretano; poi viene la procura di Verona ad ordinarne il sequestro e la Corte di Cassazione a sentenziarne l’assoluzione e la rimessa in libera circolazione.

Va così che quella pellicola un po’ di anni fa se la vedono Erica e Gianni, pensando che sia la filmica trasposizione di una storiaccia che centrifuga le vicende di quella monaca di Monza, conosciuta distrattamente stravaccati dietro un banco, e di padre Ralph, quel grandissimo figo che le mamme ancora ne parlano.

Ora, quel film non è un capolavoro ma nemmeno un pattume, - per dire, Morando Morandini, quello che scriveva le schede dei film su Telesette e pure il dizionario dei film, gli da tre pallini su cinque - ma ad Erica e Gianni li colpisce e quel titolo, «The Devils», lo ripongono con cura, ché magari un giorno tornerà utile ritirarlo fuori.

Li colpisce mica «... il taglio politico dell’opera, la denuncia dell’intolleranza ideologica come strumento di dominio, l’erotismo come valvola di sfogo delle tensioni antistituzionali ...», macché; è invece «... lo strepitoso e ripugnante luna park fantastorico di sesso, orrore e violenza ...» che li stordisce.

Se la vedi così, «The Devils» è un film decisamente coatto e da quella coattagine Erica e Gianni sono affascinati, a dimostrazione che un’idea di vita non la puoi contenere nei confini di un raccordo, non le puoi impedire di scavalcare muri, cancelli e confini, andare, tornare e vagare libera.

Erica e Gianni un certo qual sostrato di coattagine già ce l’hanno di per loro, se ci metti la visione di certi filmacci e l’ascolto di certa musicaccia, allora il gioco è fatto, allora tutto diventa coatto, pure il blues.

Erica e Gianni hanno una fissa per il bluesman Hound Dog Taylor, ma come gli viene a tutti e due questa fissa la storia non lo racconta.

Hound Dog mica è tanto conosciuto, basta dire che il primo album lo pubblica che ha poco meno di sessant’anni, nel 1971 - stesso anno di «The Devils» e forse è questo - e dopo quattro anni è già morto; e forse la cosa che rimane di lui, più del resto, è la polidattilia.

Però Gianni ci va talmente in fissa che quella mano di Hound Dog con un dito in più se la tatua sull’avambraccio sinistro, come a dire che il vecchio bluesman e pure il blues lui lo sente a pelle e sotto.

Erica per il momento non si tatua ma anche lei ha una passione insana per quella musica, che poi è la musica del diavolo, e la storia di Johnson che al crocicchio vende l’anima ad un satanasso per suonare la chitarra come si deve, e forse è questa storia del crocicchio che origina tutto.

Così Erica e Gianni si decidono che è tempo di dare sfogo alle loro fisse e ritirare fuori tutto l’immaginario derivato da quel film e dalla buonanima di Hound Dog.

Prima tocca di rimediare gli strumenti: batteria e chitarra, e basta; non c’è il terzo incomodo a reclamare il basso.

«Ce l’hanno fatta i White Stripes, i Kills, i Black Keys, figurati se non sfondiamo noi», pensano quei due, «E poi chi l’ha detto che il numero perfetto è tre?», in due si risparmia su tutto, e pure il poco che ti pagano per una serata in un locale micragnoso in un buco di paesello, in due ti pare il cachet di una rockstar.

Poi tocca al nome, nemmeno se ne discute, The Devils, perché è quel film di Ken Russell che li colpisce ancora e perché i diavoli, pure loro, hanno tatuata da qualche parte la mano polidattila di Hound Dog Taylor e sono in fissa col blues, lo dice la storia e la storia non mente, mai.

Da ultimo, i costumi di scena: Erica si addobba come una qualsiasi Jeanne dei tempi d’oggi, solo che è uno schianto e quell’addobbo resiste poco, quando entra in azione rimane il velo sulla testa, un costumino scollato e corto assai, e due stivaloni rossi fino a mezza coscia che lasciano spuntare le calze a rete, che sembra una di quelle suore che compaiono nei film pecorecci o peggio che ogni tanto tornano in circolo; Gianni si butta su una tonaca nera senza maniche che arriva al polpaccio e calza un paio di scarpe che nemmeno un miliardario pallonaro avrebbe il coraggio di calzare, afferra la chitarra - Gibson diavoletto rosso, ovvio - e via in scena.

In Italia non li notano in tanti, oppure è che si notano troppo ed allora meglio non farli notare.

Invece li nota eccome Jim Diamond, sta coi Dirtbombs e viene in vacanza qui da noi, entra in un localetto micragnoso come quello sopra e rimane folgorato da questi due ossessi, reputando cosa giusta spendere più di una buona parola con certi suoi amici francesi che maneggiano una casa discografica.

Erica e Gianni spariscono per qualche mese e se ne vanno a fare concerti in giro per le terre di Francia e Germania, più che concerti sono una toccata-e-fuga, trenta minuti scarsi, ma di quelli che non si dimenticano facilmente; ed i riscontri ci sono tutti, per cui giusto il tempo di mettere nero su bianco una decina di pezzi e poi di filato in studio di registrazione.

Non è che serve molto tempo per registrare; è vero che sono dieci pezzi, ma il tutto dura diciotto minuti e la registrazione è come se fosse un concerto, buona la prima e nessuna sovrincisione.

Ne viene fuori il blues più orientato al garage-punk degli ultimi decenni, dai tempi degli Oblivians suppergiù, la batteria che sconquassa e la chitarra iniettata di fuzz, una corsa contro il tempo ai limiti del rumorismo.

L’album è pronto a maggio 2016, manca solo il titolo: «Sin, You Sinners», peccate, voi peccaminosi.

Altro che perdonare il peccatore e condannare il peccato, Erica e Gianni incitano a peccare perché è quella l’unica via per lastricare la strada verso l’inferno e riportare a casa di messer satanasso quel che è di messer satanasso.

E se c’è una speranza che l’italico rock’n’roll vada all’inferno, è nelle mani di The Devils, che il diavolo li maledica.

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