Provenienti dal New Jersey, i Dillinger Escape Plan mescolano new hardcore, jazz e progressive metal.

Tutto ciò si ritrova anche in quest'ultimo "Miss Machine" del 2004. Come nei precedenti album (in realtà solo uno dei precedenti lavori, 'Calculating Infinity', può essere definito "album, perchè gli altri sono ep con poche canzoni), colpisce la frequenza con cui avvengono cambi di ritmo o, addirittura, di genere, con uno sperimentalismo quasi dantesco, ma anche con una violenza sonora che mette a dura prova anche il timpano più resistente.

Un vero capolavoro di tecnica e originalità, costituito da 11 tracce per la durata di 40 minuti. Si apre con "Panasonic Youth", senza indugi, priva di intro, e subito il cantante Greg Puciato spreme al limite le proprie corde vocali, ma con ottima tecnica di controllo, mentre gli altri creano un atmosfera d'ansia, con echi jazz negli ultimi secondi. "Sunshine The Werewolf" riprende lo stile della precedente, ma qui il quintetto americano contiene un po' la propria furia, senza sopprimerla completamente. Subito dopo si trova "Highway Robbery", in cui il ritmo è più uniforme e Greg sfodera un ottimo screaming, che prima era più nascosto dal growl; si spegne un po' anche quell'atmosfera cupa che caratterizza le prime due. Ma essa, accompagnata da una potenza devastante, si riaccende in "Van Damsel", la punta di diamante dell' album.
In "Phone Home" tentano addirittura di cimentarsi nell'industrial, senza riuscirci a pieno, ma con un ottimo risultato finale. Con forza inizia "We Are The Storm": il ritmo cambia davvero spesso, e a un certo punto smette di essere hardcore, per continuare come jazz (con toni degni di un bel sogno) e riesplodere per il gran finale.

Tanto per staccare da tutta questa aggressività, inseriscono una breve traccia, "Crutch Field Tongs", in cui figurano solo rumori a ritmo di un macchinario, tenendo però cupa l'atmosfera. "Setting Fire To Sleeping Giants", con ritmo sempre uniforme, è il brano in cui il growl è più assente; anche qui è presente però un cambio di genere, sempre in favore di un calmo jazz, per pochi secondi. Segue "Baby's First Coffin", dal film "Underworld", ancora un pezzo devastante, e di sicuro una luce nel quasi buio della colonna sonora del film. "Unretrofied" è un pezzo tendente al nu-metal, uno dei migliori del genere, in cui figura giusto qualche eco jazz; nel ritornello Greg dimostra di saper anche cantare, con un timbro piacevole. Siamo in chiusura: ecco "The Perfect Design", quasi 4 minuti, in cui negli ultimi secondi si spegne (con molto stile) la furia appena lasciata dietro.

Un disco potente, innovativo, difficile da capire al primo impatto, che però si fa gradire a lungo andare.

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