Questo è di quando i Distillers non erano ancora conosciuti come Punk-band per bambini. Questo è di quando i Distillers, nemmeno si sognavano di essere oggetto delle millanterie di ragazzine in Converse che non distinguono il Punk dal Crossover o i Ramones da Avril Lavigne. Questo è di quando i Distillers professavano fede indipendente davanti all’altare del Punk-Rock, iniziati dal Tim Armstrong degli “indestructibles” Rancid...
I Distillers, al lavoro per la Hellcat Records, si ingegnavano in questo esercizio di fastidio e paranoia che è “Sing Sing Death House”, in pieno stile “no fun, my babe, no fun”... Non a caso, la prima canzone si intitola “Sick Of It All”, dove regna la veneranda formula dei tre accordi, così come il resto dell’album , che di certo, come la religione Punk predice, non si basa sull’intelligenza tecnico-musicale o sulla perfezione formale…. Ovviamente, in puro stile Punk, l’album non dura più di trenta minuti, nei quali incubi e deliri vengono sviscerati in maniera totale. È un misto di noia, squilibrio, è sferzante nichilismo che la Brody si mette a urlare, con la sua voce un po’ Pink, un po’ Courtney, il suo stile d’altri tempi, il suo entusiasmo esasperato. Ma l’entusiasmo e la maturità musicale sono due cose diverse.
L’album, dal punto di vista stilistico, risente parecchio dell’influenza dei Rancid, anche se ovviamente siamo a livelli più semplicistici. Non vi si può ravvisare certo originalità al punto tale da far gridare, come molti giornalisti hanno fatto, al miracolo, alla resurrezione del Punk-Rock. L’unica nota di originalità, potrebbe essere forse la stessa Brody, l’unica voce Punk femminile ormai degna di nota, l’unica voce Punk femminile ormai esistente, a dire il vero. Probabilmente la sua formazione fu legata molto agli anni ’90, alle riot girls di Olympia, che possiamo indicare come suoi modelli, le quali purtroppo non hanno prodotto molti proseliti. E se è per questo, nemmeno la stessa Brody esprime in pieno quello che una donna Rock dovrebbe essere, alla luce dell’esperienza foxcore. In questo senso, è importante specificare che questo album, scritto e cantato da una donna, ha tutto lo stile di un gruppo Punk maschile... Ciò non significa nulla in senso assoluto, ma sicuramente denota una certa mancanza di personalità e la necessità, appunto per questo, di rifarsi a certi modelli, rappresentati ovviamente dagli storici gruppi Punk dalla voce maschile…in questo caso, i Rancid.
Nota di merito va comunque ai testi, profondi, sinceri e sconvolgenti dove vengono intensificati a livello espressivo e stilistico, le tematiche proprie dell’adolescente disturbato, disagiato…roba cara agli anni ’90 che qui si mescola al puro disgusto Punk, alla netta prevalenza della svalutazione della realtà, dei toni dissacranti, della tendenza a mettere in discussione il sistema ordinario e le contraddizioni sociali. Ma, sempre in pieno stile Punk, con nessuna intenzione di cambiare le cose. Per capire di cosa si nutre l’insana mente della Brody, basta leggere i testi di “I Am a Revenant” o “Hate Me”, episodi davvero stranianti e forse tra i pochi degni di nota. Perché a parte poche perle, tra cui quelle sopra citate, il resto è alquanto poco interessante e scontato… “The Young Crazed Feeling” è tipo un pezzo auto celebrativo alla Rap…cioè “io sono la sfigata che spacca…vengo da Melbourne…la mia vita era uno schifo”… mentre “City Of Angels” vorrebbe essere una canzone che denuncia la condizione di Los Angeles, vista come bellissima e marcia allo stesso tempo, sullo sfondo di un tramonto ‘prostituito’, come lei stessa scrive, sulla quale incombono ali di morte.
Fondamentalmente, un album con poche idee, suonato da una band con scarsa personalità, che cerca, abbastanza manieristicamente, di essere Punk a tutti i costi.
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