Alcuni dischi, spesso indipendentemente dall'intrinseco valore, riescono a rapirci e portarci via quando meno ce lo aspettiamo.

Questo esordio dei Dodos (di cui ignoro, volutamente, provenienza geografica, età e preferenze sessuali) è stato l'equivalente di un colpo di fulmine primaverile: un'occhiata sfuggente, una repulsione iniziale, un ripensamento subitaneo e per pochissimo tempo amore assoluto. Così è e così sarà sempre. Difficile e quasi sbagliato far perdurare troppo a lungo tali relazioni (o ascolti in questo caso). Meglio godersi il presente che arrovellarsi sul futuro. Perché futuro longevo un disco come questo non ha e non deve avere.

Può sembrare una presa di posizione aprioristica, ma è invece una naturale reazione dell'ascoltatore smaliziato verso le idiosincrasie del moderno music business. Difficile che con l'aumento smisurato della produzione vi sia un corrispettivo aumento delle uscite "buone". È quasi una regola matematica a mio avviso. Ben vengano dischi freschi come questo "Visiter", ma non cerchiamo di dargli meriti superiori alle sue reali possibilità o caricarlo di chissà quale profondità.

Opera ad ogni modo valevole di attenzione, per la sua natura monotona ma cangiante, che ci fa l'occhiolino subito, appena la incontriamo ("Walking", e la frenesia ipnotica di "Red And Purple"), che ci approccia con discorsi sentiti ma che suonano perfetti ("Fools" e la sua vena da Animal Collective domati). Un inizio rose e fiori, ma appena usciamo insieme si palesano i primi lati oscuri (le trame psycho schizoidi di "Joe's Waltz"), spazzati via da un'improvvisa sbornia nel bar sottocasa ("It's That Time Again"). Come ogni buona infatuazione primaverile ha sempre quel gusto pazzerello (la slide al doppio dei giri consentiti di "Paint The Rust", la percussività spinta di "Jodi") che sembra poter far andare avanti il rapporto in eterno. Ma non è ovviamente così, perché il nostro amore incomincia a ripetersi, tirando fuori sempre gli stessi discorsi ("The Season" e "God"), tanto che incominciamo a pensare ad una inquietante forma di arteriosclerosi prematura.

Fortuna che nella pur breve frequentazione, ci si lascia con una piccola dichiarazione d'amore che potremo fare nostra per utilizzi futuri ("Winter").

Alla fine di quest'oretta di musica, sospesa fra folk a volte tribale, a volte bucolico, ogni tanto psichedelico, ci ritroviamo a ripensare con nostalgia al tempo passato insieme, senza sentimentalismi, ma contenti di iniziare una nuova giornata. Anche da soli.

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