È un fatto empirico. Se hai una precisa e determinata personalità, anche se sei una bestia, sicuramente vieni fuori e, nel bene o nel male, almeno una cosa nella vita la azzecchi e per quella puoi essere ricordato.
Dopo un week end pazzesco a base di tegole, vernice, rubinetti, salopette, birre e arrizzacervelli vari, spiaggia, ondine leggerissime, musica, caldo e freschetto serale, torno nel mio letto autunno / inverno / primavera sicuro che le The Donnas rispondono scientificamente alla precedente, banaloide, considerazione. Io queste le ho seguite da quando hanno iniziato (1998) su suggerimento di un cugino diretto e pazzo che vive in quel di L.A.. Uhm, di fatto le ho sempre ritenute da 2, massimo 3, sulle loro produzioni, quindi nulla di veramente buono – piccolo richiamo personale al recensore di Gold Medal qui su DeB: suvvia, 4 a quell’album è davvero troppino J -. Però – però! – devo riconoscere che, pur non stupendomi mai, hanno sempre saputo accompagnare serate folli da festa in casa chiusi per tre giorni. E anche una dal vivo che non ricorderò come il miglior live della mia vita ma di certo ricorderò. Vecchi brani come Get Rid Of That Girl (dal disco d’esordio), Rock N’ Roll Machine (dalla seconda sbomballatissima release), 40 Boys In 40 Nights (dalla quarta fatica !?!) un po’ di peperoncino piccante in quel posto lì lo mettono. Eccome. Però – però? – c’è pure da dire che il genere proposto da sempre, uno sminuzzamento di grezzo e adolescenziale rock n’ roll, raffinato con un po’ di teen punk demenziale, non mi ha mai pienamente zuccherato la tazza da the.
Un indizio (per i miei gusti) delizioso lo hanno all’anagrafe e risponde alla provenienza: Palo Alto, California. Di per sé mi basta ad analizzare queste quattro squinternate più a fondo.
Nonostante un party rock americanissimo e spesso fin troppo yankee per essere apprezzato da noi poveri europei, le 4 tipe che si fanno chiamare tutte Donna (che trovata eh?) non sono state indifferenti alla storia della musica casinista del mondo. Sembrava che volessero andare alla ricerca di uno stile ramonesiaco, tutto partiture semplici a ritmi sostenuti. Ma i contenuti (e i risultati) erano un bel po’ diversi. A questo punto, dopo il primo omonimo disco, iniziano a guardarsi attorno e pian piano trovano la chiave di volta. In un territorio già abbondantemente seminato dai Motley Crue, le ragazze iniziano a raccogliere il frutto del lavoro altrui, ibridandolo con quello delle altre girls (dai, diciamolo, Girlschool) di cui avrebbero voluto raccogliere l’eredita. Quindi Ramones, Motley Crue e Girlschool (e naturalmente, di riflesso, Motorhead). È con la quinta prova in studio, questo "Spend The Night" del 2002, che le “dominatrici” raggiungono il loro apice musicale, riuscendo a tirare fuori il palo alto e producendo un signor (o signora) disco.
Pur non essendoci dentro nulla di geniale, il divertimento di base che hanno sempre saputo garantire questa volta è accompagnato da una produzione davvero perfetta (firmata Carmer e Shimp) che lucida a dovere la carrozzeria degli strumenti delle nostre, pulisce e rende sinuosa e gradevolissima la voce (allontanandola dalla lagna dell’americana che gira per casa ubriaca fracica con la zinna di fuori e gli occhi pallati), affila tutti i brani contenendoli come una cartucciera di proiettili di mitra nella modulare durata 2 / 3 minuti, esagerando con i 4 della finale "5 O’ Clock In The Morning".
Quindi, Donna A. è protagonista di un’ottima prova vocale, giocando su toni bassi da avvenente donna un po’ più matura (ma sempre zoccoletta) rispetto alla voce da teen ager in giro per party in cerca di perdita della verginità che aveva offerto in passato. Le Donna R.F. e C. sono il bastone e la carota che manda avanti velocissimo il disco in un succedersi incessante di brani che ti fanno venire immediatamente voglia di spedire i genitori dai nonni per il week end e organizzare la distruzione della tua-propria casa invitando amici e non (i “non” sarebbero i peggio bulli di quartiere, di cui poi andresti fiero a raccontare in giro). C’è un’energia non indifferente, virale, contagiosa che sub liminalmente agisce sulla capoccia dei più piccoli insinuando quell’unico pensiero “organizza questa festa, organizza questa festa, organizza questa festa…” che, ad un livello di analisi un po’ più seria, rimanda al concetto espresso in apertura. La testa è rimasta quella, le canzoni parlano di ciò che Spud di Trainspotting chiamerebbe spasso, la personalità è ben definita ed è rimasta al 1998. Però cambiano e maturano i ritmi, le composizioni, la tecnica. La malsana voglia di fare casino,come lo avrebbero fatto i protagonisti del film Road Trip, passa dallo stadio high school allo stadio university. Insomma, le ragazze sono diventate grandi e lo dimostrano tirando fuori riff degni della scena Sunset Strip (provate a fare la festa con gli ex compagni di classe e ditemi se non riuscite a rimorchiare quella che avete sempre sognato ascoltando All Messed Up o I Dont’ Care So There) e delle già menzionate Girlschool (ascoltare It’s On The Rocks per credere e cedere). Punkeggiano Dirty Denim, Not The One (a metà tra Ramones e Lemmy), Pass It Around (che fa il culo a tutte le bandacce proposte da MTV). Please Don’t Tease avvicina molto le sonorità ai Great White di Hooked, senza ripercorrerne lo stile ma facendo la parte dei gruppi più sboroni dello Strip (e ci starebbe alla grande “tease” qui). Il pezzo più riuscito, credo, di tutta la loro carriera è il singolo che le ha fatte conoscere al cosmopolita universo metallaro / punk / rocker mondiale: Take It Off. Un omaggio sfacciato alle all female band del passato. Un brano sparatutto davvero azzeccato, che non le regalerà alla storia ma che ha fatto divertire uno sproposito di gente sulle due coste dell’emisfero nord dell’Atlantico. Alcune canzoni le zompo di gran carriera perché è tutto rispondente a quanto già detto, quello che ci sarebbe da dire. Ma Too Bad About Your Girl non la voglio lasciare da parte, in quanto rock n’ roll femminile e acido in tutti i sensi.
Guardate, non saranno niente di che ma questo è un album che vale la pena ascoltare in situazioni in cui sulla serietà e le riflessioni tirate lo sciacquone. Who Invited You, vi chiederanno loro in maniera violenta e rock n’ roll. Voi dite loro che sono stato io. Soprattutto quelli che ascoltano i Green Day. Ecco, proprio voi, potreste dare un senso alle vostre orecchie se le offriste a queste quattro stronzette che se le strizzi trasudano alcol da discount.
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