Fu questo doppio Lp, uscito nel luglio 1970, a far conoscere al mondo intero uno dei gruppi che ha dato, dal vivo, il meglio di sé: i Doors.

L'incredibile presenza scenica e l'espressività di Morrison, la bravura di Manzarek e Krieger, e le ritmiche scandite magistralmente da John Densmore sono solo alcuni dei punti che rendono questo live album il miglior album dal vivo dei Doors, e a mio avviso uno dei più belli della musica rock in generale, assieme a "Made In Japan" dei Deep Purple e pochi altri ancora.

Tutte le canzoni (venti per la precisione, più la traccia d'apertura con l'annunciatore che li presenta al pubblico) sono state registrate nel periodo che va dall'agosto 1969 al maggio 1970; un periodo, se vogliamo, di un certo cambiamento per la band, che abbandonata (almeno in gran parte) la psichedelia che faceva da padrona nei primi tre album, e la parentesi "orchestrale" di "The Soft Parade" , si cimenta in un blues-rock assai colto e originale. Da "Morrison Hotel", infatti, si crea anche una spaccatura tra i fan dei Doors: alcuni preferiscono il gruppo "prima maniera", con tutto il suo misticismo e la sua poesia, altri invece sembrano apprezzare il secondo periodo, quello blues. Uno degli obbiettivi di questo album, probabilmente, è stato proprio quello di mettere in luce il loro cambiamento stilistico, senza ovviamente tralasciare gli immortali capolavori degli esordi.

Guardando la track-list, possiamo notare alcune cover di famosi pezzi blues, tra cui spicca la bellissima "Who Do You Love" di Bo Diddley, che apre il disco dopo l'annunciatore, eseguita in maniera molto originale. Troviamo, a seguire, un gustoso medley formato da tre classici del gruppo: "Alabama Song", "Backdoor Man", e "Love Hides", che fa da azzeccatissimo preludio a una favolosa versione di "Five To One". Senza neanche un po' di tregua, arriva l'accattivante blues di "Build Me A Woman", cantata senza fronzoli da un Jim Morrison che, nonostante fosse già preda dell'alcool, si dimostra in un' ottima forma vocale. A questo punto, ecco arrivare una delle perle del gruppo (e del disco): "When The Music's Over", probabilmente nella sua miglior esibizione dal vivo: non ci sono davvero parole per descriverla, ascoltare per credere. Su "Close To You", troviamo un Manzarek cantante che non delude le aspettative, neanche quelle di chi crede che il Re Lucertola sia l'unica vera voce dei Doors . "Universal Mind" è un bellissimo e ricercato miscuglio blues-psichedelico, con ritmi malinconici e con un bel lavoro di Robbie Krieger sulla sua Gibson. Le parole scandite da voce tuonante e arrabbiata di "Petition The Lord With Prayer" fanno da "confine" tra le due facce della medaglia: da qui in poi le cose non saranno più le stesse, con una seconda parte del disco dedicata alla parte più acid-rock e poetica del gruppo.

Dopo un elettrizzante "Break On Through", è il momento dedicato alla poesia di "Celebration Of The Lizard", con lungo medley sapientemente "incollato": Lions in the Street, Wake Up, A Little Game, The Hill Dwellers, Not To Touch The Earth (che, a parer mio, è la canzone più bella del gruppo) e "Names of the Kingdom", una tristissima ballata, dal ritmo alienante. Ma per non lasciarci con l' "amaro in bocca", il compito di concludere l'album è affidato da una lunga versione di "Soul Kitchen", un gradevole ritorno alle origini, dove alla fine Jim saluta i suoi fan con un laconico "Thank you for coming, good night".

In conclusione, quindi, una pietra miliare della musica rock, e dei live album, che non deve assolutamente mancare nella discografia di un vero appassionato dei Doors. Unica mancanza, e anche abbastanza grave, la mancanza di "The End" dalla title track: un vero peccato, avrebbero potuto mettere la versione del concerto all' Hollywood Bowl, davvero fantastica.

Carico i commenti...  con calma