Se sei una checca dichiarata con la passione per il synth-pop, per i Beach Boys, per Morrissey e se hai fatto parte della scena indie cristiana, è un attimo piombare nel kitsch.

Jonny Pierce e Jacob Graham hanno profili del genere e sono infatti parecchio kitsch, e per il modo di approcciarsi alla musica, e per il modo di approcciarsi alla loro omosessualità, e per il modo di approcciarsi omosessualmente alla musica, e per il modo di approcciarsi musicalmente all'omosessualità. Face of God è un episodio emblematico dell'album in questo senso: chitarra surfeggiante monotona, baritona tutta in battere, coretti falsetti, ritornelli a profusione e il solito senso di colpa sodomita da cristiano rinnegato, che porta sempre sulle spalle, gravissimo, il fardello di un'educazione religiosa rigorosa. Tragicamente tentato e portato al monologo disperato, come un Bandini, un Morrissey (ancora).

I Drums non hanno perso la verve melodica e spensierata dell'esordio - quello dove c'era Obama I wanna go surfing - ma Pierce continua a lanciare i suoi falsetti nei quadri poco rassicuranti che avevano caratterizzato Portamento e la svolta simil-darkwave, e lo fa con rinnovata maturità e indiscutibile smalto. Così Magic Mountain esordisce tra cori di synth, ballabile nervoso, cantato isterico e scheccante, falsi finali e scatti improvvisi e la sua struttura cervellotica; I Can't Pretend prosegue posata e irresistibilmente orecchiabile col suo inno pop ottantianissimo mentre I Hope Time Doesn't Change Him, in bilico tra l'eleganza del lavoro di chitarra, la maleducazione dei clap e una gaiezza sbattuta in faccia, chiede di essere skippata senza pietà. Ma Kiss Me Again è uno dei ritornelli migliori dei Drums, gli intrecci vocali coi falsetti un po' stupidi ma molto spensierati sul finale sono un saggio di pop solare e alternativo, la baritona continua a fare il mestiere che fece la fortuna di pezzi come What You Were in Portamento e in generale Pierce - che sta anche diventando un cantante, pare dalle recenti esibizioni - sembra dare l'impressione che essere disperati e patetici si può, ma sempre con stile e piglio. Ho già detto Morrissey? Let Me riprende il copione e si prende i suoi rischi col basso synth - mai ingombrante, mai plasticoso, sempre digerito - e esagera sul surf nelle chitarre del ritornello. There Is Nothing Left compendia tutto questo e il resto della loro carriera, ma lo fa al meglio delle loro possibilità, spingendo l'ispirazione e la vocazione melodica di Pierce verso la vetta del ritornello, incastrando senza sforzo tutto il loro campionario, la loro enciclopedia pop per ragazzini pallidi in spiaggia, nella forma canzone (quasi) perfetta.

Il disco che non mi aspettavo dai Drums. Nel senso che proprio non mi aspettavo un terzo disco dai Drums, un po' incastrati nel duemiladieci, un po' next-big-thing che sembrava essersi sgonfiata in un baleno, come l'hipstermania in Italia. Invece loro vanno avanti, sempre meno cagati, sempre più stroncati ma sempre molto, molto gradevoli.


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