Sparare sulla croce rossa è un’abitudine piuttosto vigliacca, soprattutto se nasce dall’ignoranza: la musica di marchio italico non sembra proporre soluzioni qualitativamente eccelse, anche a causa delle scelte effettuate dalle major discografiche, poco propense nel lanciare gruppi coraggiosi, ma macchiette da supermarket spuntate fuori da programmi come Amici. Andando a rovistare nel sottobosco italiano, ci si rende conto che la musica italiana, così come non era morta negli anni '70, non è morta neanche oggi. Basta saper cercare.

Il gruppo che andremo ad analizzare risponde al nome di "The DusT", complesso nato nel 1995 a Treviso sotto la supervisione del cantante Roberto Grillo, che ha fino ad oggi prodotto solamente quattro lavori, tutti autoprodotti, tra demo ed LP ufficiali. I continui cambi di formazione dalla nascita ad oggi hanno portato ad una netta discontinuità di produzione, ricevendo tra l’altro pochi consensi dalle major discografiche. Il loro primo, vero album (recensito tra l’altro proprio qui su Debaser), intitolato "Cinema Retrò", fu infatti rifiutato dalla casa discografica Videoradio, insoddisfatta dal materiale prodotto dal gruppo. Arrivati al 2010, il gruppo s’è trasformato in un duo fisso, composto da Grillo e dal chitarrista Andrea Gottardi, con l’ausilio di strumentisti esterni in occasione di live e registrazioni. Ed ecco nascere "Portrait Of A Change" (2010, autoprodotto), ultima fatica della band trevigiana.

Innanzitutto bisogna andare a ricercare le origini del sound marchiato The DusT: il tributo alle sonorità tipicamente inglesi targate anni '70 sembra piuttosto palese, con il gruppo che evidenzia una certa disinvoltura tra passaggi glam, motivetti orecchiabili, ed esternazioni prog notevolmente più elaborate. Ecco perché stiamo parlando di un album incredibilmente eterogeneo, orecchiabile, ma soprattutto, suonato bene e senza fronzoli. I passaggi più commerciali risultano clamorosamente ricchi d’inventiva e tecnicamente ben congeniati, testimoniati dall’intro rappresentata dal duo “Sunny Today/Unborn Love”, continuum dalla logica prog ma dalla venatura pop-rock, arricchita dall’utilizzo del flauto nella prima traccia, e dell’Hammond nella seconda. Poi si spazia dallo space-rock ("5 vs 1"), al funk ("Now And Again"), fino al rock in stile Aerosmith rappresentato dalla rock ballad "Beauty and Love Will Save the World". "Kill the DusT" e "Metropolitan" non svettano per inventiva, ma risultano comunque gradevoli.

I due pezzi finali, invece, mostrano tutte le interessanti ambizioni della band: "Riff" è un interessantissimo pezzo strumentale quasi in stile Red Hot Chili Peppers, con basso e chitarra che si sfidano in una lotta senza confini, mentre "Open The Doors" è la bellissima suite finale di dodici minuti che chiude in bellezza l’album, riassumendo in un unico pezzo tutte le sonorità care al gruppo, dal romantico alla power ballad, per poi snodarsi in un tripudio di archi in stile Kansas, che anticipano la seconda parte del pezzo, decisamente più soft, ma è solo la quiete che precede la tempesta: la terza parte della suite si libra in un incedere quasi “crimsoniano”, per poi chiudersi con il giro di pianoforte iniziale. Ascoltare nel 2010 musica simile fa sempre piacere.

Purtroppo, non mancano certo le noti dolenti: la scelta del gruppo di adoperare la lingua inglese non sembra esser troppo felice, vista la pronuncia non eccelsa di Grillo, che comunque mostra vocalizzi piuttosto acuti, evidenziandone la sua bravura. Inoltre, i passaggi prog, seppur di ottima fattura, risultano leggermente sfilacciati, ma la scelta risulta comunque coraggiosa, e va certamente premiata.

Per gli amanti del Progressive e del Rock in stile anni '70, questo disco può rappresentare una sconvolgente scoperta, ma in generale consiglierei questo disco a chiunque, vista l’incredibile corollario di sonorità ed emozioni che saprà regalarvi. Per i più impazienti, eccovi qualche succoso sample che testimonia le qualità del disco e del gruppo.

Carico i commenti...  con calma