Ho già avuto il piacere di recensire qui su DeBaser un lavoro dei The DusT, band nostrana che, tutto sembra, tranne che italiana. Il cantato in inglese e le sonorità proposte sembrano fin troppo distanti da quelle sciorinate dal nostro paese, caratteristiche che li allontana anche dalla notorietà. Sì, perché questa formazione ha qualcosa come circa 200 fan sulla pagina Facebook ufficiale e un seguito fin troppo discreto per le qualità tecniche ed artistiche mostrate da questi ragazzi.
Il progetto "The DusT" ha visto la sua origine tra le mani del suo leader storico, Roberto Grillo, desideroso di creare una propria band già a quindici anni, nel 1995. Il progetto vedrà le sue prime concretizzazioni solo nel 2000, con le prime esibizioni di fronte al pubblico, seguite dall'uscita del primo lavoro ufficiale dei The DusT: In God We Trust (2001). Nonostante continue peripezie e numerosi cambi di line-up, i The DusT riescono comunque a pubblicare altri quattro album: Golden Horizons (2004), cinema rétro (2005) e Portrait Of a Change (2010) mostrano tutte le qualità della band, tra cui la forte ispirazione "settantina" da cui Grillo attinge a mani piene, tra Progressive Rock e Glam.
Nel 2014 arriva l'ennesimo album autoprodotto, di cui parleremo in questa recensione: Remembrance (2014) è forse meno "progressive" del suo predecessore, ma non per questo meno vario. Ogni brano ha un tessuto musicale completamente diverso dagli altri: si spazia senza sosta dalle ballad al rock, dai violini al sax, ed è forse questo il vero motivo che ha precluso i The DusT ai grandi palcoscenici. La varietà è il loro grande punto di forza, ma paradossalmente sembra rivelarsi anche come il peggior difetto: l'unica cosa che accomuna realmente i brani è la trainante voce di Grillo, unico punto di connessione di una serie di canzoni impeccabili dal punto di vista tecnico, orecchiabili al punto giusto ma troppo diverse tra loro, peculiarità che priva l'album di una sua vera identità musicale riconoscitiva. L'assonanza con gli anni sessanta/settanta si sente soprattutto nella pesantezza di alcuni arrangiamenti, i quali danno al sound un tocco di "brillantezza" e di epicità: il brano che, probabilmente, brilla più di tutti è la traccia che chiude il lavoro, Lord Of The Flies, un pezzo che ricorda molto i Toto della vecchia maniera. Anche gli altri brani mostrano gli artigli: in Are You Gonna Get It lo stile chitarristico ricorda addirittura quello dei Queen, mentre altri pezzi sembrano attingere ai repertori di rock band più recenti come i Train.
Ci troviamo quindi di fronte ad un calderone di sonorità e di stili, testimonianza di una scelta ben precisa da parte sia di Grillo, sia del resto della band: una scelta che ha che fare con il proprio modo di suonare, per un album che vi regalerà quaranta minuti di buona musica, nella speranza che i The DusT riescano ad acquisire quella visibilità che, nonostante tutto, meritano ampiamente.
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