Qualcuno la chiamò garage revival, l'epidemia che negli anni Ottanta dilagò dagli Stati Uniti fino agli antipodi australiani.

Neppure l'Italia rimase immune.

Gli untori avevano nomi e sembianze poco rassicuranti: Fuzztones, Gravedigger V, Unclaimed, Yard Trauma.

Qui da noi Sick Rose, Useless Boys, Pikes In Panic, Ugly Things, solo per dirne alcuni.

Tanta confidenza con cimiteri e riesumazioni di salme, e sovente andava a finire che certe storiacce te le ritrovavi spiattellate sulle copertine dei dischi e nei solchi del vinile.

Per questo mi (auto)convinsi che il cancello davanti al quale se ne stavano in posa gli Electric Shields sul retrocopertina di «Cry Baby Cry» fosse quello di un cimitero abbandonato, dove si consumavano chissà quali trasgressioni, accompagnandosi al suono sfrenato del garage revival.

Che, a dirla tutta, quell'etichetta “revival” a tanti non andava giù e in men che non si dica l'avrebbero stracciata in mille pezzi, perché sapeva di diminutio, come a voler dire che questa musica l'aveva già suonata qualcun altro decenni e decenni prima e tu non avevi inventato niente, e chi ti aveva preceduto l'aveva suonata molto meglio di te; e così finiva sempre che, se era da anni che ci davi dentro, voleva solo dire che degli imprecisati “loro” avevano già ascoltato la tua canzone – e questa storia la cantavano i Clash, che di bande da garage se ne intendevano, e qualcosa vorrà pur dire.

Forse vuol dire che quando Dario e Daniele si misero in cerca per condividere e diffondere la mania per certi suoni primitivi di stanza negli anni Sessanta, mica si diedero cruccio di essere derivativi e tutti gli annessi e connessi a latere, semplicemente se ne fregarono, ché altrimenti avrebbero riposto vox e fuzz nell'armadio e finita lì la storia.

Perché Dario suonava l'organo, un Vox ovviamente, e Daniele iniettava di fuzz gli accordi che scaturivano dal manico della sua chitarra.

Ne trovarono altri tre che se ne fregavano parimenti. di derivazioni e annessi e connessi: il cantante Stefano, Matteo al basso e Paolo alla batteria.

Correva il 1986 e loro erano i Sixties Flowers.

Ma lo rimasero per poco, fin quando non incrociarono la strada di Claudio Sorge, quello che era partito dalla fanzine Teenage Lobotomy per approdare a Rockerilla e fino a mettere in piedi l'Electric Eye, in buona sostanza il nostro Greg Shaw; il quale Sorge spinse la banda dei cinque a mutare il nome in The Electric Shields.

Detto fatto, The Electric Shields, e subito un demo che legava passato prossimo e presente: «Sixties Flowers on The Electric Shields» diceva già di un gruppo con le idee chiare sulla strada da battere, e lo diceva con grezzitudine perfetta alla bisogna in brani come «Black Flowers» e «The Flames of Pain».

Quella stessa «The Flames of Pain», una volta schiuse le porte dell'Eletric Eye, andava poi a finire nella raccolta «Neolithic Sounds from South Europe», che a posteriori assume a buona ragione lo status di raccolta di culto, proprio come i due volumi di «Eigthies Colours», sempre Electric Eye, sempre garage primitivo a spaccare timpani fino ad allora risparmiati dalla grigia e tenue wave di Diaframma e Litfiba.

Finché non arrivò il 1988 e la virulenza dell'epidemia garage era in buona parte scemata: l'anno precedente, il secondo volume di «Eigthies Colours» era già qualcosa di diverso rispetto al primo; l'anno successivo, i Sick Rose se ne uscivano con «Shaking Street» e per la scena garage italiana fu un po' come per il punk quando i Clash se ne uscirono con «London Calling», ragazzi è stato tutto molto bello ma è finita qua.

E però, tanto per rimanere nei paraggi di paragoni illustri, quando i Clash se ne vennero fuori con questa storia che il punk era morto e sepolto e forse nemmeno era mai esistito, se vennero fuori pure gli Stiff Little Fingers ad urlare: «VIVA IL PUNK!» e diedero alle stampe IL disco punk definitivo, o comunque poco ci manca.

Ecco, un'altra cosa di cui mi (auto)convinsi riguardo agli Electric Shields è che «Cry Baby Cry» – un titolo che è già tutto un programma – fu per la scena garage italiana qualcosa di molto vicino a «Inflammable Material», la consapevolezza che i tempi stavano cambiando e l'orgoglio di aver costruito una scena con pochi uguali a livello mondiale.

E chi pensa che stia esagerando, si rilegga la storia, là dove sta scritto che un giorno Greg Shaw volle Sick Rose e Birdmen Of Alkatraz a battagliare nei garage della Voxx.

Oppure sto esagerando, ma non mi importa, perché esagerare colla passione mi è sempre piaciuto.

Però, ancora oggi, quando metto sul piatto quel piccolo pezzo di vinile che va a 45 giri e parte «Cry Baby Cry», con Paolo a segnare il tempo e subito Daniele e Dario a marcare un riff che preannuncia una Madchester popolata da cavernicoli e sparata alla velocità della luce, non posso che battermi il cinque da solo nella certezza che esager(av)o un ca##o.

E quando, subito dopo, arriva «Indian Path», quella certezza si fa incrollabile; e pure se il riff è un po' troppo orientato ai Sick Rose, io per i Sick Rose do di matto ora come allora, e come i Sick Rose c'erano solo gli Electric Shields, ora come allora.

Per conferma chiedere a Diego Mese, che ci metteva chitarra, fuzz e quant'altro nella conclusiva «While This Sound Spins Me Around».

Oppure ai Chesterfield Kings che, di lì a pochi giorni, divisero il palco con loro.

Poi, in quel piccolo pezzo di vinile, sotto traccia, c'era tanto altro, dagli accennti psichedelici a quelli folksie e non è un caso se, ben presto, gli Electric Shields imboccarono nuove strade.

Ma «Cry Baby Cry», per me, era, rimane e rimarrà sempre l'ultimo monumento eretto a quella esaltante scena garage che scosse un bel po' di corpi nei lontani anni Ottanta, e anche se il garage è morto e sepolto e forse non è nemmeno esistito, sempre VIVA IL GARAGE!

…............................................................................................................................................................

Un grazie di cuore a Dario Marconcini che, negli Electric Shields suonava l'organo, cantava ed era co-autore dei brani, per l'estrema cortesia e la disponibilità dimostrata, nonché per l'ispirazione e la documentazione per questa paginetta.

Carico i commenti...  con calma