Immaginate di essere al cinquantaduesimo piano di un grattacielo in Fulton Street, New York, e di affacciarvi dalla finestra un uggioso lunedì mattina e vedere Montego Bay, Jamaica.
Bene. Ascoltare "Heavy International", la nuova fatica di quei tre anonimi signori che usano farsi chiamare The Eternals, sortisce il medesimo effetto.
Nonostante sembra di sentire King Tubby alle prese coi Black Heart Procession o sua maestà James Brown che duetta col post-punk stonato ed allucinato del Pop Group il suono è estremamente compatto e per nulla dispersivo, perfetto nel suo incidere "sbilenco" e sperimentale. I The Eternals sanno unire reggae, dub, jazz, hip hop, elettronica povera e post-punk con precisione chirurgica, scrivendo canzoni uniche e, a dispetto dell'estrema varietà di suoni, mai troppo ingombranti.
"Heavy International" non è un disco per tutti ma, credetimi in parola, non è il solito album dove i musicisti si fanno le pippe sui loro strumenti e vendono il loro pressapochismo come avanguardia. Questo è cuore, passione, profondità applicata alla musica "di pancia" e non odiosa musica per studenti di filosofia/liceali sofisticati/musicisti ultratecnici.
Prendere o lasciare.
Io prendo.
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