L'ecatombe di vittime del lavoro che sta popolando le cronache nere dei nostri tempi reclama, oltre a concreti e rapidi provvedimenti legislativi, un tributo a coloro i quali è stato negato il diritto alla sicurezza e che hanno pagato con la vita la negligenza altrui.
A gridare contro simili massacri, che esistono da quando esistono le fabbriche, ma che nell'attuale contesto ideologico ultra-liberista (per il quale uno 0,0000000000000001% in più di margine di profitto vale di più di una vita umana) assumono risvolti particolarmente angosciosi, c'è questa integra band olandese, che negli anni 80 costituì un autentico faro nella scena agit-prop dell'Europa continentale. Il loro EP del 1983 si intitola proprio "Dignity Of Labour" ed è un veemente atto d'accusa nei confronti dell'indegna condizione in cui versa una fetta consistente della classe operaia: fare in modo che i lavoratori possano recuperare la loro dignità calpestata è la parola d'ordine di questo breve, ma consistente concept-album.
L'atroce commentario si articola in otto sequenze, una più vibrante dell'altra: otto scossoni alla coscienza degli apologeti del Capitale sopra ogni altra cosa, otto terremoti che non lesinano l'utilizzo dei mezzi sonori più oltranzisti per comunicare nel modo più acre possibile il senso di furore e dolore per un'umanità che pare aver smarrito le sue fondamenta morali. Equamente divisa fra gli universi di Einsturzende Neubauten, Savage Republic e Public Image Ltd, la rappresentazione allestita dagli Ex concilia l'ambientazione industriale dei primi, il piglio eversivo dei secondi e l'ipnosi allucinatoria dei terzi. Chiaramente gli Ex hanno abbastanza personalità per distaccarsi dai modelli di riferimento, comunque imprescindibili. Ne viene fuori un piccolo capolavoro di rabbia e consapevolezza che, se non raggiunge l'estro né la profondità del Pop Group (forse la massima espressione moderna dell'avant-rock anticapitalista, per forse e contenuti), evita abilmente la retorica dei Crass ed ottiene così un posto d'onore nella galleria dei dischi apertamente politici della new-wave, se non altro per l'onestà e per la convinzione che animano l'opera.
Poliritmi sconnessi, scatafasci di lamiere, macchinari che ora si inceppano ora procedono metodici e imperturbabili, tonfi di presse, rombi e clangori, strumenti deturpati e irriconoscibili, chitarre che riproducono lo stridore dei flessibili o i miasmi delle fuoriuscite di gas o la ficcante traiettoria dei raggi laser: tutto concorre a restituire un'efficace allegoria dei tempi, dei suoni e degli spazi che caratterizzano la giornata di lavoro in fabbrica.
Registrato in un capannone abbandonato, in presa diretta e in una sola seduta, vale anche come una vivida testimonianza di un'epoca (gli anni 80), troppo spesso bollata come "di riflusso", in realtà unica e irripetibile nel conciliare impegno sociale, riflessione esistenziale e ricerca formale, anche in terre "marginali", come appunto l'Olanda degli Ex o l'Italia dei CCCP (che nell'83 avevano in cantiere l'immenso "Affinità/Divergenze").
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