Ho fatto un sogno e dentro questo sogno mi ritrovo catapultato in uno di quei megaraduni di megagruppi in mezzo a centinaia di migliaia di fanatici urlanti e lì sul palco ci stanno Inez e Kenny, sono loro l’attrazione principale, sono lì per loro, lo sono tutti, e Inez annuncia l’ultima canzone e parte “Singalong Tonight” e sento la mia voce intonare quel ritornello insieme a centinaia di migliaia di altre voci, insieme a Inez e insieme a Kenny, e anche quando la canzone è finita e Inez e Kenny ci hanno salutato e sono scesi dal palco, la mia e tutte quelle altre voci continuano instancabilmente a cantare quel ritornello e continuano e continuano, come su “40” alla fine di “Under A Blood Red Sky”. E siccome al concerto sono arrivato presto, ho visto pure quando nel bel mezzo di “Food Fight” – l’ennesimo plagio di “Blitzkrieg Bop” ti diranno i miscredenti – sono saltati su da chissà dove Joey, Johnny, Dee Dee e Tommy, gabba gabba hey, e prima che la security potesse sbatterli giù, Joey ha avuto il tempo di sussurrare «Grazie piccola Inez, grazie vecchio Kenny, per mantenere vivo lo spirito», testuali parole, le labbra di Joey le abbiamo lette tutti e centomila quanti siamo, e poi sono spariti tutti e quattro nel backstage e nessuno li ha più visti mentre la security li sta ancora cercando. E poi mi sono svegliato.
Insomma, un paio di mesi fa è uscito il nuovo Exbats, si chiama “Song Machine” ed è uguale sputato a “Now Where Were We”di due anni fa ma meglio, perché in due anni quello che non va lo sistemi a puntino e tutto fila via che è una meraviglia, funziona così nei dischi di Inez e Kenny, funziona così per tante altre cose. E allora papà Kenny si mette l’anima in pace e di cantare se lo scorda da qui all’eternità, suona la chitarra, fa qualche coretto e tutto il resto è cosa di Inez; e gli stenti di “Drop The Rebound” cedono il passo ad una “Easy To Be Sorry” tanto fragile all’apparenza quanto solida e sorretta da una piccola sezione archi che pare certa deliziosa melassa Beatlesiana all’altezza di “Let It Be” e se solo due anni fa a Eric Oblivian glielo avessi detto, che si sarebbe ritrovato invischiato in una roba del genere, mi avrebbe sputato in faccia.
E allora, se “Singalong Tonight” e “Food Fight” e “Easy To Be Sorry”, ognuna a modo suo, mi prendono di sorpresa e se ne approfittano per rintanarsi in un angolino del mio personalissimo “il meglio del 2023”, in quell’angolino c’entra pure tutto il resto, senza nemmeno bisogno di sorprendermi: dal papapapapa a mezzo tempo di “Riding With Paul” a quello ipercinetico di “Himbo”, con quell’hammond sotto che dissotterra le radici; dallo yuuuuuiiiiiyuuuuu di “To All The Mothers That I’d Like To Forgive” all’ahahahahuwohoh di “Like It Like I Do”; dal rock’n’roll primitivo di “You Got My Heart Hot” al garage cinematico di “Better At Love” passando per rinnovata sferzata elettrica al canone country di “Cry About Me” e pure a quello doo-wop di “I Knew What I Wanted” con tanto di vertiginosa accelerazione finale che, non ci fosse tutto il resto, varrebbe da sola la manciata di euro versata a Inez e Kenny.
Che alla fine, resto sempre lì a chiedermi se ci sia più genialità in chi mi ruba il cuore con trame tanto elaborate e complesse che nemmeno posso sperare di comprendere oppure in chi ci impiega due diti e tre accordi di chitarra e il fustino del detersivo percosso colla cucchiara di legno.
Sia come sia, ha ragione Joey, grazie Exbats.
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