Il nome non conta. E' una filosofia che funziona. Almeno nel metal. Dove gli ascoltatori sono tali e tendono alla non-superficialità (tendono...). Detto questo, io che seguo questa tendenza ho accettato l'idea di provare un po' questo gruppo (consigliatomi) formato da quattro ragazzi provenienti dalla California. A questo punto si può accantonare l'originalità inesistente del nome (e l'originalità inesistente del solito dannatissimo logo decifrabile solo se si conosce già il nome della band!) e immergersi nel mondo di "Planetary Duality", secondo album dei The Faceless, che ci mostrano una sorta di technical death metal nuovo.
In un'analisi unitaria delle parti strumentali dell'opera emergono diverse caratteristiche. Il talento della velocità, sottovalutato dai chitarristi più classici e da chi rifiuta generi di musica più estremi di altri. Particolare il fatto, poi, che il chitarrista Michael Keene è solito suonare con l'indice, il medio e l'anulare della mano sinistra, scartando spesso l'uso del mignolo. La particolarità ed il gusto dei vari riff, che sono qualità che quasi sempre si addicono ad altri generi di musica (e il primo ad esserne quasi totalmente escluso è proprio il death metal). Invece no. Questi ottimi compositori, oltre che musicisti sono riusciti a conciliare perfettamente la velocità del blast beat (tipico del brutal death) con trovate geniali anche con chitarre in clean. La quantità spropositata di tecnica da parte di tutti i membri della band, dal batterista e le sue triturate di doppio pedale, dal bassista che poco si sente ma in quanto musicista di un gruppo technical death non può che essere quantomeno bravo, dai chitarristi che mostrano una vasta gamma di tecniche, dal tapping al sweep picking, da un tremolo picking pazzesco a sciabolate rapide di accordi strambi (e da chitarrista vi dirò: scomodi da cambiare a certe velocità di esecuzione)
Per quanto riguarda la voce siamo di fronte a un growl di buona potenza. Assente lo scream che sovente era utilizzato nell'album precedente del gruppo. I testi sono incomprensibili. Terminologia filosofica, metafore e argomenti inquietanti. Tutto ciò trova una perfetta corrispondenza con la parte strumentale, o meglio: l'atmosfera creata dall'insieme di chitarre e ritmica esprime in note ciò di cui parla la canzone. Una drammaticità che trova forma in paure interne all'uomo stesso, in mostri che non si possono capire.
Detto questo, io non credo sia necessario approfondire ulteriormente l'argomento. Si è soliti parlare di ogni singola canzone in una recensione ma è inutile. Le cose più importanti sono state dette, non è il caso di dire quali scale sono state usate nella seconda traccia e che effetto generano nella maggior parte delle persone. Per dire che la prima traccia è veloce e cattiva, la seconda sembra scombinata, la terza è un intermezzo è meglio tacere. Vi dirò solo una cosa: ogni istante, dall'inizio del testo ad ora ho sempre pensato alla stessa canzone, perchè questa canzone è il capostipite dell'opera d'arte dei The Faceless. E' la quarta...
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