Se dovessimo prendere come riferimento un album che definisca il suono "underground", se dovessimo far ascoltare ad un "iniziato" della musica tutte le migliori caratteristiche del sound "new wave", se dovessimo dimenticarci delle cose buone che i tanto bistrattati anni '80 hanno portato beh...dovremmo mettere nel lettore questo cd.
I quattro ragazzi imberbi che compaiono sulla curiosa copertina altro non erano che tipici studenti colti e intellettuali della media borghesia americana desiderosi di formare una band, come tanti altri. E come tanti altri cominciarono nel più completo anonimato, suonando perlopiù alle feste e nei "garage party", divenendo però ben presto "famosi" nell' ambito del "sottosuolo" del New Jersey, data la loro straordinaria capacità di coniare un suono nervoso, malato, decadente e glaciale, prendendo spunto dai loro idoli ( Velvet Underground, Beatles, Stones ) metabolizzandoli però attraverso una magistrale opera di "trasfigurazione intellettuale".
I "Crazy Rhythms" della batteria opera del mai troppo acclamato Anton Fier (che sostituì dopo pochi mesi la "prima scelta" Vinnie DeNunzio), le escursioni delle chitarre trattate elettronicamante, e il cantato svuotato di ogni enfasi emotiva di Glenn Mercer, riducono il suono ad un raga psicotico ed androide, pervaso da una sottile tensione di fondo che funge da filo conduttore dell'intero lavoro.
L'iniziale The Boy With Perpetual Nervousness mostra già dal titolo le sue intenzioni. Ci vuole un minuto prima che il brano prenda forma, prima che quel tintinnio e quella progressione in lontananza di chitarra siano tempestati dalla batteria. Un ritmo martellante, penetrante, si staglia in primo piano con le chitarre in sottofondo a ricamare rumori ipnotici. La successiva Fa Cè-La è un tipico brano non-sense buffo e cadenzato, tipicamante punk, con una spruzzata di "Marquee Moon" alle chitarre.
Con Loveless Love si torna su territori malati, con puntellamenti espressionistici vocali (lo straniante coretto di sottofondo) ed elettronici. Addirittura per aumentare il grado ansiolitico il volume si abbassa nella sezione mediana per poi esplodere in un disegno schizoide nel finale. Straordinario.
La title-track, posta alla fine del disco (sulla versione cd c'è anche un'ottima cover di Paint It Black dei Rolling Stones) è forse l'episodio più sperimentale del lotto, manifesto del loro mondo. Una canzoncina che parte spensierata e allegra per poi deragliare in un ritmo motoristico alla Neu, abbellito da brevi contrappunti elettronici. Da mal di testa.
Non si può non usare l'aggettivo "seminale" quando si parla di "Crazy Rhythms" (ma a loro volta anche i Feelies si mossero su coordinate già tracciate), basti ascoltare ad esempio i R.E.M. di "Murmur". Un disco mitico (anche per la sua scarsa reperibilità), che la polvere del tempo non ha minimamente offuscato, anzi. Geniale.
Carico i commenti... con calma