Passo nervoso, ritmi spezzati, minimalismo implacabile, furore controllato e quelle chitarre che nemmeno i Television. Questo era “Crazy Rhythms”, il primo leggendario album dei Feelies

“The Good Earth”, il secondo, invece è delicato e cristallino, una specie di jangle folk dentro una bolla magica. A traccia uno, per dire, già ti scappa un sorriso, che tale è l'effetto di quel suono spensierato e sognante. Traccia due poi rincara la dose, al punto che non ti rimane che vagare per le colline a 30/40 chilometri all'ora.

Tre recupera un po' dell'antico furore. quattro squaderna una clamorosa digressione velvettiana di quelle che, davvero, resistere non puoi. Fantastico...

Si, fantastico, ma, in forma di bozzetti da niente e idillii incantati, il meglio deve ancora venire: il suono si impiglia tra i rami, i rami giocano con la luce e quel che vien fuori son dei ricami jangle che nemmeno le suorine di Palo Alto.

Ah signori, “The Good Earth” è un ipnotico intrecciarsi di trasparenze attraversate da un tiepido sole, una specie di “risonanza meravigliosa e calda”, come direbbe il Quieto e il Quieto è uno che ne sa a pacchi.

Ma ora dimmi lulù, dimmi...quanti anni hai?

Ecco, sarà forse che sono invecchiato un pochino, ma, allo splendore post punk di quel primo leggendario album, oggi preferisco queste mille sfumature tra sorriso, malinconia e trascendenza. Tu chiamale se vuoi good vibrations.

Ah, dietro la consolle c'è Peter Buck dei Rem. Qualcosa vorrà pur dire...

...

Ah,i Feelies faranno bene anche dopo, anzi benissimo...

Trallallà...

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