Qual miglior occasione per recensire i Flower Kings se non quella fornita da loro stessi con l'annuncio di un nuovo disco? Già, sembra proprio che dopo cinque anni di ostinato silenzio, Roine Stolt e soci torneranno in giro nel volgere di un paio di mesi.

E dunque noi qui, tralasciando i dettagli sul prossimo venturo album, scegliamo di fermarci dove la storia si era interrotta o quasi. Ovvero a "Paradox Hotel", nona e penultima uscita dei proghettoni di Svezia, nonché quarto e ultimo doppio album della loro carriera. Almeno sin qui.

Lo so accostare i termini Flower Kings e Doppio album può ingenerare in molti di voi ripetute coliche renali o ricadute di samarronamento. Quanti di voi si sono frantumati le palle, magari senza coglierne l'incredibile bellezza, su Stardust We Are? O su Flower Power e Space Revolver? Senza contare dischi singoli come Adam e Eve o the Sum Of No Evil che, tralasciati alcuni episodi, erano ciofeche autentiche.

Benissimo, sappiate che, nonostante il tradizionale minutaggio assurdo - qui 136 minuti - "Paradox Hotel" si aggiudica, assieme al Rainmaker, la palma di creatura più semplice e digeribile degli svedesi. L'irrinunciabile sapore sognante e l'eterno revival degli anni settanta infatti qui vengono spogliati, o quasi, degli elementi jazzisti ed elitari. Per cui, nonostante svariate digressioni strumentali, le composizioni risultano molto più facili da fruire. E pure quelle strumentali con le tastiere in primo piano come The Unorthodox Dancinglesson risultano piuttosto semplici, almeno se le paragonate a Circus Brimstore.

Per scansare l'inconveniente, Stolt decide di porre la consueta suite da venti minuti in apertura del primo disco, non sia mai che il cammino sia troppo lieve per l'ascoltatore. Tralasciando l'ironia comunque, "Paradox Hotel" è un disco di ottime canzoni, spesso canzoni vere e proprie, come Lucy Had A Dream (di poco beatlesiana), Man In The World, o il King Krimson revival della title track. Ma anche la già citata Monsters and Men (durata 21.21) e soprattutto la meravigliosa Minor Giant Steps (durata 12.12, sarà un caso?) vanno giù che è un autentico piacere.

Non che sia tutto oro colato, perché ad esempio Bavarian Skyes è cestinabile senza troppi patemi, ma nel complesso i momenti inutili di questo lavoro sono davvero pochi. Ed è normale che in in due ore e mezza di musica ce ne siano. "Paradox" va per questo ad occupare, nella discografia dei re dei fiori, il posto che Octavarium occupa nella discografia dei Dream Theater, ovvero quello del disco più semplice ed immediato, ma non per questo meno affascinante.

Al solito, il consiglio con un album di tal fatta è questo. Cercare un momento adatto in cui cimentarsi nella maratona per la prima volta, isolandosi totalmente dal mondo per evitare di pigiare il tasto pausa. Dopodiché metabolizzarne le due parti separatamente, prima l'una e poi l'altra, secondo le vostre preferenze.

E consiglio aggiuntivo, se non conoscete questa band cominciate da qui!
 
8,0

Carico i commenti...  con calma