Sarà che la giornata non è delle più allegre. Sarà che ogni tanto c'è bisogno di soffocare per ricominciare a respirare. Sarà che ho voglia di sentirmi un po' post-tutto oggi. Un po' poster, yeah, che fa tanto fico.

Allora mi decido finalmente a levare la colonna sonora di "Locoroco" (maledetti giapponesi!) dal mio fantomatico stereo, visto che l'effetto ilarità da essa provocato è ormai svanito dopo il terzo ascolto consecutivo, ed ecco che ci piazzo su 'sto popò di dischetto made in Italy. Oh yes ragassuoli, questo nome intriganterrimo appartiene ad un promettente manipolo di baldi giovini provenienti dalle mie parti, credo.

Novara, Milano, giù di lì.

Ai tempi ero più piccino e facevo lo sgobbatore ad una stramaledettissima (ma fica) festa della Quercia estiva (ohiohi, tasto dolente), con l'unico scopo di scroccare beverume gratis - scopo ottimamente conseguito, azzarderei dire a posteriori. E una sera mi vengono a suonare dei ceffi curiosi, dal mùd piuttosto poster, che piazzano qua e là un piccì, un mùg, strumenti vari, luci strobostoiche e tanti altri effetti di luce pissichedelici. Non se li caca nessuno sul momento, complice forse il pubblico protocinquantenne, però mentre finisco i fondi avanzati delle brocche di vino rosso fregate ai tavoli dei vecchi, così, tanto per rendere la serata più poster anche se non so che voglia dire, giungono ai miei timpani otturati dal cerume dei suonini intrigantini che mi incuriosiscono precocemente, ma in quel momento non ho la forza di alzarmi e andare a vedere il tutto da vicino perchè il mio tasso di poster inizia già ad essere pericolosamente alto e si sa, più sei poster e più il tuo corpo assume contorni ameboidali.

Però ho la forza di segnarmi il loro nome e imprimerlo nella mia stupefatta memoria, così da poter cercare informazioni più approfondite in merito.

Passarono infatti dei mesi, prima di imbattermi nuovamente nelle gesta di questi giovini e ricordarmi del vecchio marchio impresso nella soffitta del mio cervelletto. Questa volta in un qualche local non meglio precisato. I Fog In The Shell! Quei tipi che facevano quella roba strana ma bella, anche se piuttosto sconsolatuccia! Mi piacevano neh! Com'è, come non è, ecco allora che mi raccatto codesto prodotto nebulense di cui vi volevo parlare prima di mettermi a disquisire di tutt'altro. Torniamo a noi, dunque. Stavolta non posso fare il poster apparentemente figo ma fintamente fatto, visto che ben pochi, credo, conosceranno il disco (nel caso contrario scusate se vi ho sottovalutato, tatini miei).

Il mio discorso filerà liscio e coerente di conseguenza: quello che vi propongo oggi è un sanissimo esempio di come anche in Italia la lezione del "post-rock" - sempre che questo termine abbia un reale significato - più cerebrale e introspettivo stia dando frutti interessanti assai. Sotto l'egida della piccola etichetta toscana Dufresne, in poco più di mezz'ora i nostri avventurieri si destreggiano in mezzo a sei momenti omogenei nelle atmosfere, prettamente malinconiche e narcolettiche, lievemente eterogenee per quanto riguarda le strade percorse per il raggiungimento di tali traguardi. Parlando in termini di paragone, i FITS potrebbero forse apparire come un ibrido tra lo slowcore dei Low e i primi Giardini di Mirò con un sottile retrogusto lo-fi; il tutto mixato con intelligenza e personalità, senza dubbio. La parte da padrone la fanno le chitarre, spesso rallentate in statici riffs in crescendo, sostenute da un'adeguata e poderosa sezione ritmica, travolgente quando decidono di premere sull'acceleratore ("A Man Escaped").  Dal marasma catatonico dei Nostri emerge ogni tanto, senza alcuna mania di protagonismo come ben si addice al genere, la calda e sussurrata voce di Marco, episodi che rimangono comunque piuttosto limitati allo stretto necessario. L'alchimia funziona a meraviglia negli 8 minuti di "Rain", prototipo pressochè da manuale su come costruire un brano noise-rock, e nel riff psicotico della conclusiva "I can be the chaos, they can be the structure", trascinata in una coda da fare invidia ai maestri ispiratori.

"Va bene, Appe, ma a noi che ci frega della tua minchia di rece, che come al solito dopo i commenti di qualche sporadico avventore cadrà nel dimenticatoio del database di DeBaser?"

Carissimi, sapete una cosa? Quando un giorno costoro diventeranno definitivamente uno dei nomi di rilievo della scena andergraund italiota, e credetemi, hanno le carte per diventarlo, io, con la mia solita faccia da poster, potrò prodigarmi in un "ve l'avevo detto, sfigati!" e sarò acclamato da pubblico e critica come "the next Scaruffi" e tutti vorranno avere una recensione scritta di mio pugno.

In caso contrario, ci ho provato a fare il poster, eh.

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