No! Purtroppo no! “Promised Works” non è un nuovo lavoro dei The For Carnation. Non è neppure un ritrovamento di materiale inedito ripescato miracolosamente in chissà quale meandro oscuro di archivi discografici, né tantomeno un live proveniente da un’ imprecisata località statunitense.

Detto questo, la Touch and go, famosa etichetta indipendente di Chicago, ha il mio plauso per aver riproposto ed accorpato in un unico disco i due EP d’esordio (“Fight Songs” del ’95 e “Marshmallows” del ’96) di una delle band più interessanti degli anni novanta.

Creatura di Brian McMahan, già voce e chitarra degli Slint, i For Carnation hanno saputo coniugare la “leggerezza” di un carezzevole minimalismo strumentale dove non una sola nota andava sprecata, con un’intensità emozionale unica nella quale i sentimenti più che essere espressi venivano trattenuti generando una grande empatia con l’ascoltatore che, cercando di decifrarli, finiva puntualmente per sentirli come propri.

I tre pezzi di “Fight Songs”, compreso il balbettante e quasi gioioso intermezzo strumentale di “How I Beat the Devil”, hanno la stessa fragranza ed armonia di una delle “Romanze senza parole” di Paul Verlaine. I silenzi eloquenti, i placidi arpeggi alla chitarra, la timida voce che sussurra al vento le proprie sensazioni, sono delicati frammenti di un’anima in perenne ascolto e la splendida “Grace Beneath the Pines” sembra quasi il suo diario scritto all’ombra di un albero ai margini del bosco.

Questo fil rouge si protrae parzialmente anche in “Marshmallows”: “On the Swing” e “Imyr, Marshmallow” sono piccole e dolci nenie che purificano il nostro spirito dalle scorie accumulate nella quotidianità.

Il registro cambia però con la concitata “I Wear the Gold”: pezzo strumentale in cui il riff di chitarra viene ripetuto in loop con un andamento quasi sinusoidale dove nei picchi di tensione fanno capolino piccole ma precise distorsioni e variazioni che aumentano la sensazione di pericolo. Vero attacco alla giugulare che però inaspettatamente sfuma in un dimesso arpeggio: la morsa alla gola si trasforma così in una benevola carezza.

Nella seconda parte dell’EP, i toni si fanno molto più oscuri, come se McMahan voglia in qualche modo riallacciarsi a “Spiderland”: il capolavoro degli Slint si chiudeva con le urla laceranti di uomo del sottosuolo di dostoevskijana memoria che sbatteva la porta del suo rifugio sotterraneo.

Quì invece (con le oscure e ipnotiche “Salo” e soprattutto “Winter Lair”), sembra che quest’uomo, dopo un sonno millenario, abbia riaperto quella porta e, con le stigmate di una nuova consapevolezza umana, vaghi per la città in una notte nera come la pece appena rischiarata da vaghi tintinnii. La voce è diventata un soliloquio ripetuto come in trance e si ode persino quello che sembra essere il suo flebile elettrocardiogramma.

All’alba, seduto lungo le rive di un fiume rimane in attesa, con un briciolo di volontà in più per vivere una vita che non ha scelto e ascoltando la conclusiva e strumentale “Preparing to Receive You”, dove la musica sembra fissa in una staticità estenuante, lo vediamo attendere (vanamente?) che qualcosa o qualcuno lo scuota definitivamente dal suo torpore.

I For Carnation, dopo questi due EP, pubblicheranno solo un altro disco, omonimo nel 2000. Per questo come dicevo all’inizio: no! purtroppo no! “Promised Works” non è un loro nuovo lavoro. Ma chissà, forse anche loro stanno aspettando sulla riva di un fiume.

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