Spacciato come il quarto album dei Fugs, tanto da venir commercializzato nel 1975 con il sottotitolo “Fugs 4”, nella realtà non si tratterebbe della quarta uscita discografica della formazione “neyorkese” in quanto la stessa all’epoca aveva già pubblicato parecchie novità attraverso l’etichetta Reprise. “Rounders Score” è di fatto una raccolta con parecchi inediti della primissima ora.
La compilation tuttavia è tra le cose più interessanti di questo strampalato collettivo folk-rock di protesta, contiene brani provenienti dalle sessioni in studio del 1965, epoca nella quale Tuli Kupferberg, Ed Sanders e Ken Weaver avevano messo in piedi il loro spettacolo teatrale fatto di insulti contro la società borghese americana, canzoni tanto anarchiche quanto intelligentemente sottili, pupazzi che simulano l’oscenità umana della guerra e aberranti atti che denotano una profonda frustrazione sessuale insita nella società alimentata ad ignoranza ed ipocrisia istituzionalizzata.
Sanders, Kupfberg e Weaver sono in origine degli scrittori più vicini alla beat generation che al movimento psichedelico, vengono introdotti alla musica da Peter Stampfel e Steve Weber (The Holy Modal Rounders) che li accompagnano con svariati strumenti non solo dal vivo ma anche in studio. I testi del periodo sono per la maggiore ideati dai tre fondatori, cristallizzate prose in musica: dure, crudeli, aggressive, politicamente non corrette e parecchio incazzate. Le composizioni sono invece affidate ai “Rounders”, il duo che ha trasformato il folk di protesta in qualche cosa di molto sperimentale, qualcosa che non è decisamente per tutti. La proposta discografica in questione potrebbe figurare come l’ideale veicolo di collegamento tra l’arte disincantata dei Fugs e gli Holy Modal Rounders, i loro mentori musicali.
Dal primo disco, originariamente stampata nel 1965 dall’etichetta Broadside e ristampato un anno dopo dalla Esp Disk, figurano le canzoni di maggior successo: “Boobs a Lot”, inno ai seni abbondanti, “Slum Goddess”, idealizzazione subliminale del ghetto, e la stonata irriverente canzonaccia d’osteria “I couldn’t Get High”. Stranamente manca il quarto successo del periodo e cioè “Supergirl” con la quale si erano tirati addosso pesanti accuse da parte delle femministe troppo impegnate a lesbicare che a capire il messaggio della poetica di Kupferberg, genio ribelle di una generazione avanti anni luce. Dal secondo disco, l’omonimo del 1966, che vede una formazione totalmente rinnovata con John Anderson al basso elettrico, Vinny Leary alla chitarra acustica, Pete Kearney a quella elettrica, Lee Crabtree alle tastiere, la sublime “Morning”, l’anti-guerra-fondaia “Kill for Peace” (“prega che il nostro Dio diventi un pacifista”, parafrasando lo stesso Kupferber) ed un estratto dall’esperimento elettro-acustico “Virgin Forest”, la superba suite che combina suoni elettronici spaziali, registrazioni dal vero, momenti eterei che anticipano di un anno i Pink Floyd di "A Saucerful Of Secrets", e con le terrificanti recitazioni tribali di “Squack man meets the lunatic Vagina” e “Dog style diversion”. Dalla terza pubblicazione Virgin Fugs, anche questa a sua volta una compilation di brani inediti del 1965 edita dalla Esp Disk quando i Fugs avevano già firmato un profumato contratto con la Reprise, alcuni scarti dalle prime sessioni in studio, tra questi la schizzata “New Amphetamine Shriek”, la demenziale “Caca Rocka” ed il rock in opposition di “CIA Man”.
Il disco offre, oltre al meglio (o al peggio) del periodo embrionale dei Fugs, gli inediti tratti dal repertorio country folk americano e cioè le pseudo-strumentali “Crowley Waltz”, “Fiddler a Dram” e “Fishing Blues”, un brano solista di Peter Stampfel “Romping Through the Swamp” e due canzoni esilaranti ideate e suonate alla buona da Tuli Kupferberg: “Defeated” e “Jackoff Blues”.
Per concludere: la copertina del disco è disegnata da uno scimpanzè di nome Jezebel che si dilettava di pittura surrealista presso lo zoo di Portland. Consigliato a quelle menti che hanno captato la differenza tra i Fugs liberi di volare e quelli addomesticati dalle regole del records-business.
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