Vi preghiamo, consentiteci le presentazioni ...
... siano tre ragazzetti di buona sostanza e tanto gusto, siamo in giro da tanto, tanto tempo e se questa introduzione vi puzza di già sentito, siete fuori strada.
Due polentoni ed un terrone ad unire le forze, perché l’unione fa la forza, evviva l’Italia tutta unita e liberata del 25 aprile.
Per mesi, le nostre fervide menti si sono annusate, cercate e rincorse per dare vita ad un’avventura inaudita: una recensione a tre teste, sei orecchie ed altrettanti occhi, tre nasi, sei mani e pure sei piedi. È stata impresa titanica scovare qualcosa che ci accomunasse – il punk e l’hardcore, il brutal metal ed il growl, il cinema d’essai e l’opera lirica ... scazzi continui e sempre qualcuno a cavillare, «... complaints complaints, what an old bag ...» e nemmeno ci provate a star dietro alle citazioni, perché prima della fine avreste perso il filo settanta volte sette.
Poi, una notte, sono venuti i sogni a tracciare la via; e così, tra visioni di piazze in mano a rivoltosi che resistono ad intonare serenate notturne seguendo il ritmo della chitarra di Woody Guthrie, tutto è apparso chiaro.
«Barricada Rumble Beat».
La comune passione per i fratelli Marino e Sandro Severini ha avuto la meglio, ed eccoci a narrare di questo loro esordio sulla lunga distanza, datato 1987. Precisando che all’epoca, nell’ordine, la banda dei fratelli Severini è The Gang, Marino si fa chiamare Red e Sandro Johnny Guitar “Riff”; insieme a loro, suonano El Kid e Bum Bum.
Precisato quanto è da precisare, finalmente è giunta l’ora, il momento tanto atteso da noi tre ed altri milioni, seppur incosciamente.
Il destino cinico e baro ha voluto che sia il fenomenale Lorenzo aka Dema, dall’alto Piemonte (uno dei polentoni), ad introdurre il tutto, iniziando il racconto dall’inizio, dall’infanzia di Marino e Sandro, a Filottrano Rock City – perché se il quartiere romano di Centocelle ha i suoi City Rockers, pure Filottrano ha i suoi City Rockers!
Forse non tutti sanno che ...
... ha un ovvio nome il luogo dove sono cresciuti Marino e Sandro: l’Imbrecciata, minuscola frazione di Filottrano, adagiata sulle colline della provincia anconetana, nemmeno trecento anime ai bei tempi, una scuola elementare di sole due aule e pochi più bimbetti a scorrazzarvi.
Un’infanzia passata tra corse nei campi, caccia alle lucertole, montagne di neve da spalare in inverno; il rito della trebbiatura, le stalle, le pecore ed ogni tipo di animale domestico: la meraviglia e la semplicità di un mondo agricolo che forgia il carattere dei due.
Un mondo rurale passato e dimenticato.
L’amore per la musica e la lettura l’apprendono presto, grazie alla madre che sempre canta, insieme ad Otis Redding, e la luna si tuffa nel pozzo dei suoi desideri; una famiglia matriarcale, quella dei Severini, ed il padre per oltre quarant’anni fa il muratore, lasciando casa quando l’alba è ancora lontana e facendoci ritorno quando Marino e Sandro sono sotto le coperte.
Cosa possono fare due giovani a Filottrano Rock City, se non finire per metter su una rock’n’roll band?
Così, appena ventenni, Marino e Sandro se ne vanno a Londra, quella Londra arroventata dalla prima furibonda ondata punk; e ritornano frastornati e consapevoli che è il momento di mettere in piedi una banda.
Nel 1980 formano i Paper’s Gang, che diventano solo e soltanto The Gang tre anni dopo; si fanno le ossa con un repertorio quasi esclusivamente di covers, dai Rolling Stones a Lou Reed, passando poi per i Ramones ed i Sex Pistols. Ma vogliono fare altro e di più.
Ed allora scrivono i primi brani autografi, quelli che nel 1984 vanno a finire nell’esordio autoprodotto «Tribes' Union», un mini–album in seguito ristampato dall’etichetta bolognese CGD, necessario e sentito tributo all’opera della coppia Strummer/Jones e dei Clash, che in quell’anno sono in fase di disgregazione avanzata ed in procinto di suicidarsi definitivamente. Un esordio riuscitissimo, che entusiasma e fa conoscere la banda in tutta la penisola e pure in Europa: tanto che, dopo due anni trascorsi in tour a far da spalla a gente del calibro di Jesus And Mary Chain, Blasters e Billy Bragg (quest’ultimo, tenetelo a mente), Marino e Sandro sono pronti per il primo lavoro sulla lunga distanza.
Le canzoni ci sono quasi tutte, ma i tempi di registrazione si dilatano oltre misura perché lo studio di registrazione di Bologna – tale M.C.M. – è disponibile a singhiozzo e per brevi periodi; di modo che occorrono diciotto mesi per completare il disco, pubblicato nel novembre del 1987.
Ma la lunga attesa è ben ripagata per un album solido e poetico, irruento e pacato allo stesso tempo: una tappa basilare per i Gang e per il futuro musicale, loro e del rock italico tutto.
Con quella copertina che più barricadera non si può, tra filo spinato ed accese fiamme! Ed il suono indica ancora l’Inghilterra ed omaggia i Clash, ma non solo questa volta ...
Il disco, come la medaglia, ha due facce, quella A e quella B ...
... e ve le raccontano Pin (il terrone) e Gna (l’altro polentone).
Perché ha davvero ragione da vendere Dema, c’è pure tanta America nei solchi di «Barricada Rumble Beat», nei suoni e nelle parole e nell’immaginario.
Esemplare in tal senso «Going To The Crossroads» che apre il disco e sin dal titolo rimanda al crocicchio dove Robert Johnson stringe il patto col demonio ed è un blues bastardo come un rock’n’roll che fila via veloce: la voce è quella di Marino, Billy Bragg mena le danze e la sua chitarra scintilla come mai fino ad allora, un liquidissimo organo ed i fiati in sottofondo fanno tanto E–Street Band, quella dei tempi belli di «Darkness On The Edge Of Town» e «The River». Allora è naturale credere come fossero oro colato le parole dell’agente segreto che si vende per un nuovo taglio di capelli e spiattella alla banda dei quattro di quella volta che Dennis Hopper affogò in un mare di Coca Cola nel Grand Canyon; o quelle dello sciamano che li esorta a correre e non aver paura, perché nella memoria del loro sangue il passato gli sarà fratello.
Di questo monito, Marino, Sandro ed i loro sodali faranno sempre tesoro ed andranno avanti senza mai volgere le spalle alla Storia ed ogni nuovo disco sarà allo stesso tempo diverso seppur radicato nel precedente, a partire da quel «Reds» che davvero costituisce uno dei più alti omaggi alla canzone popolare italiana. Il punto è proprio questo, che rispetto a «Tribes' Union» è del tutto nuovo l’approccio sonoro e la svolta è racchiusa in un disco piccolo piccolo, il singolo «Against The Power Dollar», con sul retro la versione definitiva di «It Says Here» a restituire al mondo un Billy Bragg inedito, come il Bob Dylan svelato dai Byrds nei giorni del Signor Tamburino.
Ma anche le parole sono altre ed i testi scritti da Marino sono tra i più belli mai usciti dalla sua penna, per cui vale davvero di investire del tempo per leggere «Barricada Rumble Beat», oltre che ascoltarlo. E se a «Tribes' Union» le anime povere rimproverano un eccesso di “sloganismo”, «Barricada Rumble Beat» è inattaccabile da questo punto di vista e perfino «Against Power–Dollar» e «Rumble Beat» sono pura e semplice poesia di strada piuttosto che sterile e puerile militanza.
«Against Power–Dollar», addirittura, sfodera un ritmo solare e trascinante dal profumo caraibico – divertito quasi (con tanto di inserto di un Paperino che bercia non si capisce cosa) – dominato dal sax incalzante che accompagna un testo che è il manifesto dell’impegno sociale, solidale ed internazionale dei fratelli Severini: se in «Tribes' Union» la linea la detta «Libre El Salvador», ora è proprio «Against Power–Dollar» a rivelare come siano evoluti i fratelli Severini. E lo rivela ancora di più «Rumble Beat», funk e rock’n’roll a braccetto in un connubio incendiario, una voce che giura che è impossibile rimanere fermi, indifferenti: è tempo di agire ma è anche tempo di ballare; è «The Magnificent Seven» ma anche «King Kong Five», è la consapevolezza che scende sulla pista da ballo; è il cambio della guardia, e Tony Manero se ne torna al tavolo a sorseggiare il suo drink sforzandosi di ricordare come suonava «YMCA».
I segnali, benché forti e chiari, purtroppo giungono a pochi e l’eco da Filottrano si spegne rapidamente, ma la coglie Billy Bragg, che con i fratelli Severini stringe una solida amicizia e preme per partecipare alla realizzazione di «Barricada Rumble Beat», ma anche per convincere The Gang ad accompagnarlo nel tour italiano del 1987; e forse per caso oppure no, in quegli stessi giorni Billy abbandona la casacca di one–man–band.
I Gang e Billy Bragg ...
Nel tour italiano del 1987, i Gang aprono per Billy e nel loro set infilano uno dopo l’altro i brani di «Tribes' Union» e «Barricada Rumble Beat» ed «It Says Here» per introdurre il menestrello inglese; Billy, al termine del concerto, invita i Gang sul palco ed insieme chiudono intonando «Garageland» ed «I Fought The Law».
Non bastasse questo, la liaison sentimentale con i Clash è ancor più coinvolgente quando i Gang e Billy maneggiano per chiudere il lato A di «Barricada Rumble Beat» con una versione strepitosa di «Junco Partner», che non è un brano dei Clash ma chi sostiene di averlo conosciuto ben prima di «Sandinista!» è un impostore: quello dei Clash è un dub effettatissimo che porta alle conseguenze estreme i primi innamoramenti in «Bankrobber»; quello dei Gang e di Billy è un blues bifronte, dapprima acustico con chitarre slide a iosa, a seguire il call and response tra Billy ed il gruppo sottolineato da un bellissimo handclapping, e poi un finale elettrico corale che dà i brividi – e Billy che ad un certo punto se ne esce con «... well I wish I had one million lira ...» significa una montagna di rispetto per questi ragazzi marchigiani lanciati alla conquista del cielo.
«Barricada Rumble Beat» vede, dunque, la partecipazione di Billy Bragg, e sulla busta interna si legge che Billy Bragg appare per gentile concessione sua e della casa discografica Go!Discs, ma è pura forma che non cela la passione che i Gang e Billy riversano su quelle note; ma partecipa anche tanta altra bella gente, menzione particolare per Alan King al sax, per tutti coloro che si alternano alle tastiere e per Andy J. Forest, che magari come attore non combina granché – forse qualcuno ancora lo ricorda in una piccola parte al fianco di Serena Grandi nella «Miranda» del Maestro Tinto Brass – ma suona l’armonica come pochi e si sente in «Clyde Warrior And Jessy Colt» ed in «Not For Sale».
«Clyde Warrior And Jessy Colt» sta lì a significare che ai Gang quello che riesce meglio è raccontare storie di banditi senza tempo come Woody Guthrie e Johnny Cash prima di loro; o solo storie, la propria e quella di chi incrocia la loro strada. Anche in «Barricada Rumble Beat» i fratelli Severini sono cantastorie più che rockers, sono Francesco Guccini che – parafrasando un loro brano di là da venire – imbraccia una Magnum Les Paul e spara canzoni che fanno male. «Barricada Rumble Beat», allora, è semplicemente una lunga storia condensata in dodici capitoli brevi, che si snodano lungo il percorso che va da Filottrano fino a New York, racchiudendo il mondo intero.
E come due cantastorie, Marino e Sandro si fermano ad ogni bivacco, imbracciano le chitarre ed iniziano a narrare, e qualche gente che passa si ferma a fare conoscenza e ballare e pogare. Perché, almeno per il momento, The Gang non alza il piede dall’accelleratore, anzi pigia ancora più forte, aumenta ancora il ritmo in «Song Of The Prisoner», canzone tiratissima e tra le più coinvolgenti del repertorio, rock’n’roll vecchio stile, ai confini del punk, ed è un attimo che la memoria ritorna ad altri prigionieri, quelli cantati da Mick Jones o da Joey Shithead tanto per dire. Si resta senza fiato, letteralmente ed in ogni altro senso.
Ora sì che è tempo di rallentare il ritmo, è tempo di «Midnight Serenade», brano tra i più belli per parole e musica che i Gang abbiano mai composto e tra i più belli nell’ambito della musica popolare italiana e continentale tutta – così la vede il terrone Pin ed ingiuriate lui e solo lui se non siete d’accordo. Basti dire che Bruce Springsteen una ballata notturna di tal fatta l’ha scritta per l’ultima volta sette anni prima ed era «Point Blank». Ed il primo momento ove appare evidente ogni senso di «Barricada Rumble Beat» è nel recitativo di Wim Wenders a mo’ di introduzione e nel passaggio dove Marino sussurra come solo la chitarra di Woody Guthrie riesca a cogliere il ritmo in una notte del genere; ed è il fantasma di Woody Guthrie che Marino evoca nel suo insistere ripetuto, questa notte è la nostra notte, questa storia è la nostra storia.
I Gang e Woody Guthrie ...
Ecco cosa è «Barricada Rumble Beat», una grande storia in dodici piccoli capitoli, che percorre una strada lunga da Woody Guthrie attraverso Bob Dylan fino a Bruce Springsteen, una storia che è quella della musica folk, pop, in termini ampi e nobili semplicemente popolare.
«Odio le canzoni che ti fanno pensare che sei un buono a nulla. Odio le canzoni che ti fanno pensare che sei nato solo per perdere. Non va bene a nessuno. Perché o sei troppo vecchio o troppo giovane o troppo grasso o troppo magro o troppo brutto o troppo questo o troppo quello. Canzoni che ti buttano giù o canzoni che ti prendono in giro per la tua sfortuna o per il tuo duro viaggiare. Io combatto questo tipo di canzoni e lo faccio fino al mio ultimo respiro ed all'ultima goccia di sangue.».
L’eredità di Woody, che Marino e Sandro preserveranno fino all’ultimo respiro, fino all’ultima goccia di sangue, è tutta qui.
E questa è la fine della storia di «Barricada Rumble Beat», e l’inizio di storie altrettanto imprescindibili, da «Reds» che è storia di quasi trenta anni fa fino a «Sangue E Cenere» che è storia di ieri.
Se la storia vi è piaciuta raccontatela ai vostri amici e raccontategli pure che THE GANG IS NOT FOR SALE!
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