Premessa necessaria: questa recensione è assolutamente parziale.
Sai come succede quando compri un disco e ti ci affezioni talmente che anche se fosse oggettivamente una schifezza clamorosa, beh … per te rimane comunque un etto di vinile che ti ha migliorato la vita?
È quello che mi è accaduto con «Tribes’ Union» dei Gang, uno di quei dischi che magari oggi ascolto una volta all’anno e però ogni volta mi regala le stesse emozioni di quando lo ascoltai per la prima volta 25 anni fa o giù di lì.
Il fatto è che io un grande disco lo giudico così: se dopo 4 o 5 anni, ancora mi appassiona, allora sì, è proprio un grande disco.
E per me «Tribes’ Union» rientra a pieno titolo in questa categoria. Come premesso, è una recensione assolutamente parziale.
Per andare al dunque, i Gang sono un gruppo marchigiano ancora in attività grazie all'impegno dei fratelli Marino e Sandro Severini ed ai numerosi compagni di strada che li hanno affiancati negli anni.
«Tribes’ Union» è il loro esordio discografico e viene pubblicato nel lontano 1984, quando i nostri si fanno chiamare Red e Johnny Guitar e sono accompagnati dalla sezione ritmica di Buster e Bum Bum, cantano in inglese e sono spinti dalla passione per il terzomondismo dei Clash e l’impeto socialista di Billy Bragg.
Il più grande merito dei Gang è quello di aver scritto, in questo disco e nei successivi, canzoni di levatura internazionale e che difficilmente possono essere definite “italiane”, come si usa fare talvolta in senso limitativo.
Ci sono solo otto canzoni, in «Tribes’ Union», ma ciascuna a suo modo è destinata a divenire un piccolo classico dell'allora neonato rock alternativo italiano e merita una menzione: «The Challenge» e «The Last Border» caratterizzate da atmosfere quasi-western, il veloce ritmo ska di «War In The City», l’andamento epico e marziale di «Killed In Action» e «Badland», gli echi Clash nel dub della conclusiva «Action In Play». E poi, quasi in chiusura del lato 1, c’è «Libre El Salvador», di cui non parlo perché la amo troppo e sinceramente non trovo le parole adeguate per descriverla, o forse sì: semplicemente un inno.
La grandezza del gruppo, che da «Tribes' Union» emerge forse in modo acerbo, è confermata anche nel periodo immediatamente successivo, quando i nostri alzano il tiro e propongono come lato 2 di un loro singolo una cover del classico di Billy Bragg «It Says Here», resa talmente bene da convincere il menestrello inglese a realizzare con i Gang l’album che segue «Tribes’ Union», l’altrettanto valido e più maturo «Barricada Rumble Beat», ed accompagnarli in un serie di concerti in giro per l’Italia. Insomma, gli allievi hanno raggiunto ed incontrato il maestro.
Lunga vita ai Gang!
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