Ce li si immagina nella loro polverosa stanzetta a scrivere e provare. Tre uomini grandi e grossi che a vederli sembrerebbero dei thrasher, oppure fautori di un hard rock di quello sporco e grezzo, in stile Bloodrock. E invece i The gates of slumber fanno doom metal e gli aggettivi sporco e grezzo vanno comunque bene per descrivere la loro musica.

Hymns of blood and thunder è il quarto album della band dell'Indiana composta da Karl Simon (voce e chitarra), Jason McCash (basso) e Bob Fouts dietro le pelli. Particolarità di questa band è il loro unire in delle composizioni a volte monolitiche e a volte più dirette la lentezza del doom classico, l'acidità melodica dei Cirith ungol e in questo ultimo capitolo, pubblicato lo scorso anno, anche lo stoner rock. Proprio la mescolanza di queste diverse influenze rende a mio modo di vedere Hymns of blood and thunder l'album più riuscito del trio. Ci sono canzoni aggressive quasi in stile thrash, altre propriamente doom nel loro inconfondibili stile, altre più melodiche, tutto in un' alternanza che dona maggior assimilabilità al disco.

Il quarto full lenght si apre con "Chaos calling", una cavalcata metallica di rara potenza in cui svetta la voce sgraziata del singer Karl Simon. Una canzone che però mostra anche la "nuova faccia" della band: un risvolto più melodico si intravede infatti nel break centrale della song. "Death dealer" è invece una vera e propria pallottola di heavy/thrash metal, che sebbene sia piacevole non raggiunge i fasti dell'opener. Dopo un inizio forse un po' fuori dai normali canoni stilistici del trio, l'accoppiata "Beneath the eyes of mars" e "The doom of Aceldama" riporta il discorso musicale agli album precedenti: due song corpose e valide. In particolare la seconda che rappresenta il primo dolmen sonoro del disco, impreziosita da una guitar trascinante, che ricorda da lontano l'epicità di manilliana memoria. Un crescendo continuo che porta la suddetta traccia ad essere uno degli episodi più risciuti nella carriera della band.

La dolce strumentale "Age of sorrow" serve sia a spezzare in due il disco, sia a mostrarci una ulteriore nuova faccia dei The gates of slumber: quella della melodia pura. Così dopo l'ennesima ottima song di epic/doom/heavy giunge il secondo "dolmen" sonoro del platter, dal titolo "Descent into madness". Un inizio "ventoso", poi la chitarra che scarica giù riff duri come il titanio e la voce corrosiva del singer. Ma ciò che più stupisce, oltre ad un ottimo songwriting e alla capacità di sviscerare emozioni in questo viaggio nell'inferno è la vena psichedelica dell'assolo, che a circa quattro minuti dalla fine ci regala il momento più bello dell'intero disco.

Infine trasportati dalle dolci note di "The mist in the mourning" che tanto somiglia a quelle ballate medievali da cantare intorno ad un falò, il disco scorre via verso la fine regalandoci un'opera che raggiunge ottimi livelli. Hymns of blood and thunder è l'unione dell'heavy metal più puro e underground, ma allo stesso tempo è anche fatto di ritmi pesanti ed ossessivi che molto si avvicinano al thrash. La base rimane quella del loro doom da "trip", ma un tocco di psichedelica qua e là, unito anche ad un'inaspettata ventata di delicatezza, rende quest'album uno dei migliori cd del genere negli ultimi cinque anni. Voto 4 e mezzo.

1. "Chaos Calling" (5:29)
2. "Death Dealer" (4:23)
3. "Beneath The Eyes Of Mars" (5:59)
4. "The Doom Of Aceldama" (8:35)
5. "Age Of Sorrow" (2:50)
6. "The Bringer Of War" (4:44)
7. "Descent Into Madness" (10:45)
8. "Iron Hammer" (3:47)
9. "The Mist In The Mourning" (2:21)
10. "Blood And Thunder" (4:35)

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