Sconvolto, stupito, meravigliato, concertato. Sono solo alcuni degli aggettivi possibili per descrivere l’ascoltatore la prima volta che ascolta “How To Measure A Planet?”.

In realtà già l’artwork del cd, che abbandona le immagini oscure tipiche dei precedenti album e rappresenta uno sfondo giallo su immagini futuristiche, aveva fatto presagire un cambiamento importante. Inoltre già i 2 precedenti album presentavano elementi psichedelici, ma nessuno poteva immaginarsi una svolta del genere: parliamo di rock: certo, è uno rock liquido contaminato dal pop, elettronica e dal progressive, (riferimenti ai Pink Floyd e ai Radiohead sono più che evidenti), sognante, ma sempre di rock si tratta.

L’album vuole esaltare il topos del Viaggio con brani lentissimi e introspettivi. Ci troviamo davanti ad un album di difficilissima assimilazione, che comprende 14 canzoni racchiuse in 2 cd. Ma se si lascia trasportare dalla musica, i brani acquistano vigore e intensità. Purtroppo questo album non fu capito da molti, soprattutto dalla loro label, la Century Media, che dopo il successo di album immortali come “Mandylion” e “Nightime Birds” teme di perdere una gallina dalle uova d’oro con un album che non è assolutamente destinato ai darkettoni desiderosi di atmosfere romantiche e decadenti. “Frail (You Might As Well Me)” ha il compito di aprire l’album. Viene introdotta da particolari inserti elettronici. È un pezzo cadenziato ma anche leggero come un soffio di vento primaverile. Anneke canta in maniera leggermente differente rispetto al passato, interpretando i brani con un enfasi e una raffinatezza inedite. “Great Ocean Road” è un pezzo molto sperimentale. Qua fanno capolino delle digressioni trip-hop, che anticiperanno il percorso intrapreso poi con il successivo “Souvenirs”. Inoltre è presente qualche reminscenza metal, che appartiene ad un passato mai così lontano. “Rescue Me” è un pezzo molto crepuscolare, morbido e onirico. Non rappresenta però un sentimento come la tristezza, ma qualcosa di più vicino al disincanto.

My Eletricity” è la colonna sonora di un sogno, di una realtà immaginaria che funge da ponte fra cielo e terra. Ottimo Pezzo. “Liberty Bell” è il pezzo che mi ha più colpito al primo ascolto. In molti album dei The Gathering c’è un pezzo leggermente distaccato dagli altri del platter, più dinamico e ritmato (“Mosters” In Souvenirs, “Third Chance” in Nightime Birds…). ”Liberty Bell” è il pezzo è il pezzo più elettrizzante del lavoro, cesellato dalla voce di Anneke, per quest’occasione filtrata. “Red Is A Slow Color” è un pezzo che rispecchia fedelmente il titolo: lento e sussurrato. I riff sembrano quasi quelli degli irlandesi The Cranberries. Interessante la parte finale, molto enigmatica. “The Big Sleep”, basato totalmente sul cantato dell’Usignolo Olandese e su effetti sonori da lasciare assolutamente senza fiato, è un pezzo molto intimista e poco pomposo. “Maroneed”, sicuramente il pezzo meno riuscito dell’album , che rappresenta una soffice e atmosferica ninna nanna. Chiude il primo cd “Travel”, che si apre con i tipici suoni della connessione ad Internet. Grande prova della divina. È l’unico pezzo dove vengono riesumate le atmosfere di “Mandylion” e “Nightime Birds”, care a molti fans.

Il secondo cd si apre con la bellissima e ipnotica “South American Ghost Ride”, un brano molto sperimentale, oscuro e siderale, che riecheggia immaginari industriali. È un pezzo strumentale (senza considerale qualche minuscolo vocalizzo di Anneke) “Illuminating” è un intensa semi ballad , visionaria e vibrante solo come i migliori pezzi sanno essere. “Locked Away” è un un pezzo carico di pathos, che trasmette solarità e ottimismo come mai ha fatto un pezzo della band. “Probably Built In The Fifties” è un pezzo stralunato come una giornata di pioggia imprevista, mentre la monumentale “How To Measure A Planet?”, pezzo strumentale di ben 28 minuti (what???) che risulta decisamente ostico all’ascolto chiude il cd. Un bell’album, anche se lascia una sensazione di incompiutezza non indifferente: a mio parere “Souvenirs” (2003) è l’ideale proseguimento di questo lavoro dopo “If-then. else” e risulta più solido è compatto.

Ma va premiato il coraggio di andare contro la propria etichetta, di superare i ristretti orizzonti del metal, di aprirsi a nuovi e affascinanti orizzonti, di suonare la musica che si ama. Il coraggio di chiamarsi The Gathering.

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