Sono passati tre anni dall'ultimo album in studio, "Home", e ne sono successe di cose nel frattempo; la più importante: dopo tredici anni di sodalizio la cantante Anneke van Giersbergen decide di allontanarsi dal gruppo per dedicarsi alla famiglia e ad un progetto tutto suo, gli Agua de Annique. Scelta poco coraggiosa da parte dei The Gathering, quella di ingaggiare come sostituta una cantante con un timbro il più simile possibile ad Anneke: la norvegiese Silje Wergeland, ex-vocalist degli Octavia Sperati.

Ma passiamo al disco.

La prima traccia, "When Trust Becomes Sound" sembra essere una dichiarazione d'intenti, non a caso risulta essere uno dei pezzi più potenti di tutta la loro carriera; è un brano strumentale, che ci ricorda un po' i bei tempi di "Black Light District", con chitarre distorte in primo piano e Hans scatenato alla batteria.

Chitarre ancora protagoniste nei tre brani successivi, "Treasure", "All You Are" e "The West Pole", ovvero i brani che era già possibile ascoltare sul myspace del gruppo prima dell'uscita del disco; sono pezzi piacevoli e molto orecchiabili, e la title track, nei suoi sei minuti e mezzo, ha un'evoluzione davvero interessante, che smorza un po' la foga iniziale e ci introduce nella rilassante "No Birds Call", dove è Frank con le sue tastiere a farle da padrone.

"Capital of Nowhere", altro brano validissimo, comincia con un delicato arpeggio di chitarra accompagnato dalla voce di Anne von den Hoogen, la prima delle due guest vocalist, per poi andarsi a concludere con una chitarra che inizialmente ricorda la parte finale di "Waking Hour" (dal precedente album "Home"), ma che si risolve poi in una progressione molto trascinante.

"You Promised Me a Symphony" è la classica ballata per pianoforte e voce, interamente scritta dalla nuova cantante Silje: senza infamia e senza lode, c'è poco da dire. "Pale Traces", cantata da Marcela Bovio, la seconda guest vocalist, ricalca in parte la struttura di "Capital of Nowhere", e vede l'ingresso nella parte finale di violini che tentano di enfatizzare la canzone altrimenti priva di spunti veramente interessanti.

"No One Spoke" vede il ritorno prepotente delle chitarre e si riallaccia a brani come "Treasure" e "All You Are"; è l'ultima boccata d'aria prima del pezzo finale di quasi otto minuti, "A Costant Run", dove l'alchimia tra chitarre e tastiere è perfettamente bilanciata; ancora ritornello orecchiabile e poi svolta strumentale negli ultimi tre minuti della canzone, anche se questa volta il rischio di annoiare è proprio dietro l'angolo.

In definitva un album sicuramente piacevole, ma che paga il prezzo di tutte le aspettative venutesi a creare in questi tre anni; chi ama i The Gathering e li segue da anni sa che l'originalità e la capacità di stupire il pubblico con ogni disco è proprio la loro arma vincente, ma questa volta, dispiace ammetterlo, si sono sforzati davvero poco. Speriamo si tratti di un disco di transizione, e che la prossima volta ci consegnino un lavoro degno del loro nome.

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